Londra: attacco alla democrazia?

I simboli sono importanti per la nostra Europa. Attaccare il Parlamento a Westminster, come è accaduto ieri, non è poca cosa. L’eterno problema dei “cani sciolti”

Gianluca Di Feo su La Repubblica scrive di un modello inglese di polizia antiterrorismo che si riteneva invincibile: le quattro “P” (prevenire, proteggere, preparare, perseguire). Giordano Stabile, su La Stampa, cerca invece di analizzare la strategia dell’Isis di micro-attacchi moltiplicati per mille, che possano alla fine piegare i nervi e la resistenza degli europei; infine, Pierluigi Battista sul Corriere della Sera riprende il suo tema favorito: l’Occidente avrebbe chiuso gli occhi dinanzi alla barbarie del mondo musulmano violento, con una denuncia forte delle connivenze che si annidano nel nostro mondo europeo (di sinistra). Le analisi sono tutte interessanti, degne di nota, ognuna ricca di una sua (piccola) verità. Bisogna cercare di capire, perché conoscere e capire è il primo antidoto contro la violenza cieca e barbara dei terroristi. E dei terroristi che si richiamano abusivamente ad un Corano pervertito.

Ma sta di fatto che noi europei ormai viviamo con la paura dell’attacco schizofrenico, incontrollabile, solitario, di uno dei tanti potenziali terroristi. La nostra vita è cambiata. La fobia può giungere a farci individuare in qualsiasi fruttivendolo pakistano, in qualsiasi studente tunisino, in qualsivoglia muratore iracheno un potenziale terrorista. C’è chi tra i colleghi opera ideologicamente per accentuare questa tentazione alla colpevolizzazione di una religione intera. Ma, lo sappiamo, l’ideologia prima o poi viene smascherata.

attacco-terroristico-a-westminster-londra-foto-apNon vogliamo capire che la prima risposta al terrorismo non è militare o di polizia (misure pur necessarie, sia chiaro) ma culturale e, se vogliamo, religiosa. Culturale, perché dovremmo capire che secoli di soprusi e prevaricazioni non si dimenticano tanto facilmente, e bisogna perciò favorire in ogni modo le reciproche “contaminazioni”. Evitando due vicoli ciechi: da una parte rimanere (alla Houellebecq) vittime di una sindrome attendista (post-cristiana) che ci immobilizza fino ad accorgerci che gli arabi (musulmani) hanno conquistato l’Europa; dall’altra non bisogna credere che gli arabi non sentano il bisogno della nostra cultura europea, c’è gran sete di “comunione” nella riva meridionale del Mediterraneo con la riva settentrionale del nostro mare.

Ma la risposta deve essere anche religiosa: il dialogo interreligioso non è più un optional, una pratica riservata alle gerarchie confessionali per dare una parvenza di risposta edulcorata alle violenze odierne, per fare la dichiarazione di condanna composta di frasi fatte. Il dialogo interreligioso, come sostiene ad esempio il laico Giancarlo Bosetti, deve essere una componente della strategia politica del mondo occidentale e di quello arabo, dei cristiani (europei e arabi) come dei musulmani (arabi ed europei). Il dialogo interreligioso è uno strumento prezioso per la preservazione della democrazia.

 

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