L’odio che cresce

S'è tanto parlato d'odio in questi giorni, dopo il grave attacco occorso al premier Berlusconi in Piazza Duomo, a Milano. Perché non ci si accorge che l'odio cresce?
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«Perché tanto odio contro di me?», esclama Silvio Berlusconi dal suo letto d’ospedale, al San Raffaele di Milano, meditando sull’aggressione subita in Piazza Duomo. Lo si capisce. Ma questa domanda suscita un altro, inevitabile quesito, che probabilmente anche il capo del governo s’è posto: «Perché i politici, di ogni bordo e latitudine, e non solo nella nostra Italia lacerata, spesso non si accorgono che attorno a loro l’odio cresce?».

 

È una realtà che l’odio che arriva ad esprimersi pubblicamente cresce soprattutto per questioni legate alla gestione della cosa pubblica, per il rapporto che una società intrattiene con il potere, con «il grosso animale», come lo definiva Simone Weil. Antropologi e filosofi se ne sono occupati e avranno materia per occuparsene anche in futuro: basti pensare alle spietate analisi di Canetti in Massa e potere, o a quelle di René Girard sul bouc émissaire, sul capro espiatorio, nel suo Delle cose nascoste dalla fondazione del mondo.

 

Questi studiosi s’accordano generalmente sul fatto che quasi sempre il potere «di per sé acceca», come dice Canetti, impedendo a chi lo esercita di vedere distintamente quel che succede intorno a sé.

 

Ma allora? Si dice che il polso della situazione di una nazione si capisce solo viaggiando in autobus o in metropolitana. Ora, non si può chiedere a un leader di viaggiare col trasporto pubblico (anche se il neo-presidente della Ue, il belga Van Rompuy, anche da primo ministro ha continuato a prendere la metropolitana, a Bruxelles), perché verrebbe riconosciuto e il pur minimo sondaggio di opinione verrebbe falsato. Ma, almeno, si può chiedergli che mandi i suoi negli autobus!

 

Ricordo un viaggio verso Dubai. Accanto a me un agente della Cia, un informatore, uno di quelli “che vanno sugli autobus”, oltre che sugli aerei. Mi ha svelato la sua identità vedendo che stavo scrivendo di Paesi musulmani e che avevo alcuni libri sull’Islam sul mio tavolino. Da decenni questo agente stava denunciando ai suoi capi la crescita del clima d’odio verso gli Usa in particolare nei Paesi a maggioranza musulmana: «I miei capi – mi diceva – non vogliono presentare i nostri rapporti in alto, per non indispettire il presidente e i suoi più stretti collaboratori. I capi, in effetti, spesso non vogliono sentire l’astio, se non l’odio che c’è contro di loro. Oppure, più spesso forse, è l’entourage che non vuol perdere credito presso i capi e così modifica la realtà».

 

Sia come sia, sta di fatto che l’odio in Italia purtroppo c’è, e gli osservatori più attenti – accademici, politici, religiosi – lo denunciano da tempo ormai. Non c’è da stupirsi: il clima sociale è slabbrato, cresce uno schizofrenico rincorrere benessere e felicità negli abissi privatistici dei Grandi fratelli e nella giustificazione fatta in pubblico dell’eversione, mentre permangono e talvolta crescono sacche palesi di ingiustizia. Come stupirsi che prima o poi questa situazione degeneri? L’aggressione di Piazza del Duomo ne è un’avvisaglia inquietante. A cui porre rimedio rapidamente.

 

Evitando che succeda di peggio restano allora da seguire le parole di moderazione indirizzate tra gli altri dal presidente della Repubblica e dal presidente della Cei al Paese intero, per un generale abbassamento dei toni della polemica. Un appello che è rivolto a tutti, proprio a tutti, nessuno escluso. A cominciare dai deputati e senatori. Prima che sia troppo tardi, e che l’acqua marcia dell’odio non generi violenze incontrollabili.

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