Lo scontro sconosciuto sul Ttip

Il Parlamento europeo è chiamato a votare le direttive sull’accordo strategico sui rapporti di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea.  Uno strumento a favore delle multinazionali secondo i movimenti sociali, sindacati e parte degli economisti (da Stiglitz a Becchetti)
ttip

Dal luglio del 2013, dopo un lungo periodo preparatorio, è iniziata la negoziazione tra Unione europea e Stati Uniti per definire le regole di uno strategico “Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti” conosciuto meglio con la sigla Ttip (“Transatlantic Trade and Investment Partnership”).

L’obiettivo è quello di integrare due mercati che sembrano molto simili tra loro per facilitare reciprocamente non solo la circolazione delle merci ma anche gli investimenti e l'entrata nel settore dei servizi e degli appalti pubblici.

Contro la versione ufficiale che l’accredita come un fattore di crescita economica per i Paesi coinvolti, e destinata perciò ad estendersi anche alle nazioni con le quali Usa e Ue hanno rapporti bilaterali, è cresciuto il numero dei critici che vedono nel complesso articolato, tuttora sotto embargo nella sua definizione ultima, come un’arma nelle mani delle multinazionali contro il potere residuo  degli stati. Una conferma di tale ricostruzione inquietante si avrebbe con la previsione dell’ arbitrato internazionale, denominato Isds (Investor state dispute settlement), che permette alle imprese di intentare cause per «perdita di profitto» contro i governi dei Paesi europei nel caso di approvazione di leggi in grado di ostacolare l’attesa di profitto delle imprese. Secondo l’economista Leonardo

 Becchetti, in questo caso è improprio parlare di “libero mercato” perché siamo davanti ad un tipo di globalizzazione che è come «un immenso cortile dove le imprese transnazionali più grandi degli stati la fanno da padroni fingendo di produrre dove pagano meno tasse, trovando sempre il paradiso fiscale più adatto e mettendo in concorrenza i Paesi in una corsa al ribasso sulla tutela del lavoro e dell’ambiente. Per questi motivi non c’è alcun bisogno di squilibrare ancora di più i rapporti di forza a favore delle imprese multinazionali». In particolare, secondo Becchetti, lo strumento del tribunale arbitrale internazionale (Isds) si rivela uno strumento dove gli Stati nazionali hanno molte difficoltà nel «far valere i principi della difesa della salute, dell’ambiente, della tutela del lavoro» contro gli interessi delle grandi imprese transnazionali. L’economista dell’università di Roma 2 cita diversi casi concreti. La svedese Vattenfall, ad esempio, ha chiesto alla Germania un risarcimento di 4 miliardi di euro per aver abbandonato l’energia nucleare. La Veolia ha chiesto allo stato egiziano di risarcirla per l’aumento del salario minimo nel Paese perché, in tal modo, ha ridotto i suoi margini di profitto mentre l’Uruguay è stato citato per danni dalla Philipp Morris per aver introdotto la pubblicità contro il fumo e il divieto delle sigarette ai minori di 18 anni.

Critiche radicali al trattato commerciale arrivano anche dagli Stati Uniti. Il premio Nobel Joseph Stiglitz lo ha ripeto anche nel discorso che ha fatto al Parlamento italiano evidenziando una linea di rottura con il presidente Obama che, su questo punto, riceve l’appoggio del partito repubblicano e delle lobby delle multinazionali contro l’orientamento dei sindacato e della sinistra del partito democratico rappresentata dalla senatrice del  Massachussets, Elisabeth Warren. Secondo Becchetti ci troviamo davanti al caso classico in cui «i difensori del libero mercato in realtà difendono i profitti degli oligopoli si battono contro l’aumento della qualità delle informazioni».

Accogliendo in parte le indicazioni proveniente dalle associazioni contrarie all’attuale definizione del Ttip, il parlamento europeo si accinge nella seduta pomeridiana di mercoledì 8 luglio a votare un testo (Relazione Lange) che contiene alcune indicazioni rivolte alla Commissione europea sulla gestione della trattativa con gli Usa. Per gli attivisti della rete Stop Ttip si tratta tuttavia di un compromesso peggiore del male, «un tentativo di mediazione al ribasso tra i due partiti di maggioranza relativa, Socialdemocratici e Popolari, più interessato agli equilibri interni che non a una reale incisività sul negoziato. La Relazione è molto fumosa, con dichiarazioni generali incapaci di definire chiaramente un confine invalicabile. Tra gli elementi di criticità si sottolineano il compromesso sull’arbitrato internazionale».  Al contrario il capogruppo dei socialisti e democratici europei, Gianni Pittella, si è detto convinto che con il nuovo strumento di composizione delle controversie tra imprese e stati sarà pubblico e trasparente senza pregiudicare gli interessi privati e la politica pubblica. Sarà questa la linea che probabilmente verrà approvata nonostante la campagna di attivismo digitale (messaggi diretti sul web) verso i parlamentari europei.

Anche il senato americano, nella seduta del 24 giugno, ha approvato il “fast track” e cioè un provvedimento che darà al presidente degli Stati Uniti maggiori poteri nell'approvazione di accordi commerciali con altri stati, evitando la lunghezza di ulteriori passaggi al Congresso. In tal modo si prevede che si aprirà la strada all’approvazione del Ttip entro l’inizio del 2016 e, sembra ancor prima, del Trans-Pacific Partnership (TPP), l'accordo di libero scambio con 12 paesi del Pacifico che rientra tra gli obiettivi strategici degli Stati Uniti.

( nella foto una manifestazione contro il Ttip nel corso del congresso della chiesa evangelica tedesca – giugno 2015)

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