L’Italia? “Non è un Paese per giovani”

Partendo dal film di Giovanni Veronesi, in uscita nelle sale, una analisi del tema giovani e lavoro nel cinema contemporaneo

Non è un paese per giovani, recita il titolo del film di Giovanni Veronesi in uscita oggi nelle sale italiane. Riprende e gioca con il titolo del romanzo di Cormac MCcarty, Non è un paese per vecchi, poi divenuto celebre film diretto dai fratelli Coen. Soprattutto, però, il film del regista toscano nasce dal programma radiofonico (omonimo) da lui stesso condotto su Radio Due. Una trasmissione che parla di giovani, appunto, e del fatto che l’Italia, purtroppo, non sia una nazione adatta a loro. Ovviamente da un punto di vista professionale.

Il film inizia bene, o forse sarebbe giusto dire che inizia male, nel senso che prima che la storia prenda il largo, compaiono una serie di testimonianze (reali) di giovani italiani che da paesi lontani raccontano come e perché se ne siano andati dall’Italia, e quello che adesso fanno all’estero. Videomessaggi col telefonino, dai quali si respira la grande energia e la bellezza di chi non ha ancora compiuto 40 anni, ma anche la complessità del tempo che ci è toccato vivere. Rimarrà quella la parte (purtroppo breve) più efficace di un film alla lunga confuso, che prende due ragazzi (uno ribelle figlio di genitori perfettini e l’altro che vuole fare lo scrittore) e li spedisce a Cuba, dove pensano di aprire un locale con wifi sulla spiaggia.

Ovviamente vivranno mille peripezie, e i loro destini saranno opposti: tragico per uno (Giovanni Ansaldo) e con lieto fine professionale e sentimentale per l’altro (Filippo Scicchitano). La pellicola di Veronesi, lentamente si scolla dal suo tema di partenza e diventa romanzo favolistico con grande scenario esotico sullo sfondo. Al massimo, racconta un astratto romanzo di formazione. Rimane il tema, anche se è un peccato che non sia stato affrontato come si poteva. Viene in mente, allora, un altro film di poco tempo fa, una commedia intelligente, malinconica e gustosa nel suo doppio gusto di dolce e di amaro. Un film capace di affrontare lo stesso tema di Non è un paese per giovani, ma con maggiore incisività. Un film che fa il contrario di quello che fa Veronesi: non fa partire i giovani, ma fa rientrare una giovane (Paola Cortellesi) dal suo giro del mondo per lavoro. Il film si intitola Scusate se esisto, di Riccardo Milani, e racconta di un architetto (donna) che all’estero realizza cose pregevoli, ma che sente nostalgia della sua terra e decide, suo malgrado, di tornare in questo paese che non è per giovani, non è per non raccomandati e non è per chi cerca opportunità, soprattutto se chi le cerca è donna.

Paola Cortellesi foto di Francesco Petrucci

Tornata a Roma, la protagonista comincia un’odissea tra volgarità, lavori precari e colloqui che sistematicamente vanno male. Finché, con uno stratagemma curioso e significativo (si finge un uomo per ottenere un contratto), ci mostra la paura che domina gli ambienti di lavoro (almeno) in Italia, e come, per avere il necessario per campare, siamo costretti a stendere un velo sulla nostra identità e mascherarci per non essere attaccabili. Il film è una commedia all’italiana nel senso migliore dell’espressione, visto che non mancano i momenti di alleggerimento, ma non si sfocia mai nella farsa e si scava tra le pieghe del nostro presente facendone affiorare interessanti e preziose sfumature.

Il rapporto tra donna, lavoro e paura nel cinema italiano recente, ci porta ad un’altra pellicola dolorosa e importante sui nostri anni difficili. Si intitola 7 minuti, non è una commedia, ma un dramma di impianto teatrale, diretto da Michele Placido nel 2016. Il regista accosta undici femminilità nervose, diverse per provenienza geografica e per cultura, ma tutte obbligate a sudare e piegare la schiena per sopravvivere. Le mette in una fabbrica del centro Italia, tornando così in un luogo che sembra appartenere al passato, ma che invece esiste ancora. Attraverso questa foto di gruppo, però, in cui nessuna donna sorride o abbraccia le altre, l’autore dà forma a un tema che riguarda tutti, femmine e maschi, ed è il tempo che viviamo, questa ormai nostra epoca della crisi in cui i poteri economici, piccoli o grandi che siano, trovano un terreno sempre più fertile in una società terrorizzata dall’idea di non avere il minimo necessario per sopravvivere. Una società disorganizzata e frammentata di fronte a un sistema tanto violento quanto subdolo. La paura, ancora prima che il lavoro, è il tema di 7 minuti. Un argomento importante, serio, centrale nel nostro presente, che il cinema italiano, ogni tanto, al di là di tentativi superficiali e pretestuosi, sa affrontare di petto.

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