L’inutile distruzione

Perché, mentre ancora le guerre provocano lutti, morti e rovine, si pensa già alla ripartenza? Non varrebbe la pena fermarsi prima di radere al suolo le città? Serve intelligenza umana
ph Pexels

Siamo in epoca di AI, intelligenza artificiale, che taluni pensano possa darci una conoscenza istantanea e universale. Se ne parlava già 20 anni fa con Wikipedia, l’enciclopedia web universale, e ora ci risiamo. Sembrerebbe infatti che ogni nozione, ogni attimo della storia  passata sia a nostra disposizione nello spazio di un clic. Così è pur vero, ma ancora bisogna saper usare la memoria digitale, oltre a quella umana, come supporto di quest’ultima, e bisognerebbe ricordare bene, per evitare di incorrere negli stessi errori, talvolta tragici, del passato.

Mi è capitato tra le mani un libro straordinario, autore Winfried G. Sebald, titolo Storia naturale della distruzione, per Adelphi. Si tratta di uno studio delle inenarrabili distruzioni per bombardamento delle città tedesche, soprattutto nel centro nord, durante la Seconda guerra mondiale, che sembrerebbe aver provocato 600 mila morti e due milioni di feriti, oltre che la distruzione e il danneggiamento del patrimonio immobiliare e di infrastrutture della Germania per un terzo circa del totale, grazie allo sganciamento di un milione di tonnellate di bombe in quattrocentomila raid aerei.

La tesi dell’autore è che i tedeschi avevano una tale vergogna delle malefatte del regime nazista che convissero con le distruzioni sistematiche delle loro città, quasi non vedendole, o piuttosto non volendole vedere, pensando già al dopoguerra, alla ricostruzione inevitabile. Secondo Sebald è a causa di questo atteggiamento generalizzato, è per questa volontaria rimozione collettiva della tragedia che la letteratura tedesca non è riuscita a produrre romanzi catartici a partire da tali distruzioni, un po’ come in Italia, per fare un esempio, Elsa Morante scrisse quel capolavoro che è La Storia.

Le pagine di Sebald sono esaurienti nel cercare di evidenziare tale incredibile rimozione collettiva di fronte alla più grande distruzione di beni pubblici mai provocata da atti umani contro altri umani. E viene naturalmente da attualizzare le sue considerazioni, applicandole alle distruzioni urbane nel Donbass o a Gaza, sistematiche, direi scientifiche: Bakhmut, Advika, Gaza City, Khan Yunis… Da che mondo è mondo, le guerre non hanno mai avuto vincitori reali, ma solo apparenti. Al saldo delle perdite umane e materiali, militari e civili; al saldo del doping delle economie riconvertite in macchine belliche; al saldo delle momentanee ebbrezze per i successi sul terreno, come si fosse in un campo di calcio o di cricket; al saldo dei trattati di pace che vengono firmati con adesione popolare più o meno reale… Al saldo di tutto ciò, le guerre sono sempre e solo delle perdite collettive di ricchezza, umana e materiale.

Le narrative belliche, quasi sempre scritte dai vincitori – parlo di narrative, non nel senso letterario del termine, ma in senso cronachistico ed eventualmente sociologico –, esaltano una parte a scapito dell’altra, occultando realtà spesso drammatiche e inescusabili. Nel libro di Sebald emerge un occultamento grave, che ha colpito non solo i perdenti, ma anche i vincitori. La carneficina provocata dai bombardamenti alleati sulle città tedesche – 600 mila morti sotto le macerie, a cui vanno aggiunti i morti nei campi di battaglia, quelli nei lager e tutti coloro che sono rimasti vittime della fame, del freddo o della pazzia – appare spropositatamente inutile, ininfluente sull’esito della guerra, visto che il tracollo del sistema nazista era già avviato quando iniziò la parte più feroce e sistematica della campagna di bombardamenti alleati. Di più, Sebald sottolinea come l’enorme produzione bellica aveva bisogno di essere smaltita, impegnata contro obiettivi reali e non fittizi: che senso avrebbe avuto sganciare tonnellate di ordigni in un campo vuoto? La maggior parte del materiale bellico sganciato sulle città tedesche è stato indirizzato contro quartieri e caseggiati già evacuati, in cui vagavano solo sbandati, sciacalli e ammattiti.

Perché i governanti non si prendono qualche ora del loro preziosissimo tempo per leggere questo Storia naturale della distruzione, o Guerra di Céline, o Autodafé di Canetti, La notte di Wiesel, o ancora La Storia della Morante? Dopo la lettura di uno qualsiasi di questi capolavori non è immaginabile che un uomo, un padre di famiglia o un fratello, o una donna, una madre o una sorella, voglia perpetrare carneficine efferate come quelle raccontate in tali capolavori letterari. Possibile che la propaganda bellicista sparga ancora i suoi miasmi dopo secoli e secoli di guerre tutte perse dal genere umano? Possibile che ministri e commis d’Etat continuino a favorire apertamente le aziende che producono armi a ritmi forsennati?

Eh sì, la gente ha bisogno di sangue e di paura per affidarsi alle cure dei governanti di turno. Eh sì, le aziende che producono armi fanno calare il tasso di disoccupazione. Eh sì, se si distrugge, poi bisogna ricostruire e si faranno affari! Eh sì, abbiamo sempre bisogno di un nemico per tenere assieme il popolo. Eh sì, il potere basta a sé stesso, il bene comune no, ha bisogno di gente disponibile all’altruismo. Si parla tanto di intelligenza artificiale che metterebbe a repentaglio la sopravvivenza del genere umano: mi sembra che per il momento sia l’intelligenza umana a farci correre questo rischio, a tutti.

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