L’Indonesia comincia a guardare al dopo Jokowi

Si concluderà nei prossimi mesi il secondo mandato del presidente indonesiano Joko Widodo (Jokowi). Il grande Paese asiatico (un arcipelago-nazione di 17.504 isole) si prepara alle elezioni di febbraio 2024. L’Indonesia è la terza democrazia del mondo per numero di cittadini (274 milioni).
Ganjar Pranowo (wikipedia)

In Europa si è sempre parlato poco dell’Indonesia, ovviamente con l’eccezione dell’Olanda che, per via dei retaggi coloniali, ha mantenuto un rapporto importante con il Paese asiatico. Eppure, l’Indonesia ha un ruolo significativo sullo scacchiere mondiale.

Non è, senza dubbio, una potenza economica e finanziaria o militare, anche se ha una grande importanza strategica e una crescita del Pil di tutto rispetto. Resta, comunque, il Paese nel mondo con il più alto numero di musulmani – circa 231 milioni –, dettaglio spesso del tutto ignorato dagli stereotipi occidentali che identificano l’Islam con il Medio Oriente, la Turchia e l’Iran.

Inoltre, è la terza democrazia nel mondo (dopo India e Stati Uniti) in quanto a popolazione che gode dei diritti e doveri di questo sistema. Non dobbiamo, poi, dimenticare che ha svolto un ruolo assai importante nella storia recente quando, grazie all’allora presidente Sukarno, fra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso, figurava fra i Paesi fondatori e di riferimento dei non-Allineati.

Tuttavia, nel panorama della geopolitica attuale l’aspetto senza dubbio più significativo di questo arcipelago-nazione è quello che, sebbene conti una stragrande maggioranza di cittadini di religione musulmana, sia riuscito a mantenere fino ad oggi la cosiddetta pancasila (5 principi) come fondamento ispiratore dello stato. Soltanto la provincia di Aceh è infatti governata secondo il principio islamico della shari’a. La pancasila è il nucleo essenziale della democrazia indonesiana, che i padri fondatori hanno voluto ad ogni costo nello stendere la Carta Costituzionale, una volta ottenuta l’indipendenza dopo la Seconda Guerra mondiale.

Si tratta di cinque principi che vogliono ispirare la vita sociale e politica dell’immenso Paese (1300 gruppi etnici che parlano 700 idiomi sparsi sulle 17.504 isole dell’arcipelago indonesiano). Nell’ordine in cui sono stati stilati nella costituzione essi rappresentano quello che i padri della nazione hanno voluto garantire ad ogni costo: la fede nell’unico e solo Dio, la giustizia e civiltà umana, l’unità dell’Indonesia, la democrazia guidata dalla saggezza interiore dell’unanimità derivata dalle delibere dei rappresentanti e la giustizia sociale per tutto il popolo indonesiano.

Proprio attorno alla possibilità di mantenere la pancasila o di passare alla shari’a si sono giocate le ultime elezioni presidenziali, che hanno visto prevalere per due mandati consecutivi l’attuale presidente Joko Widodo che, in entrambe le tornate elettorali, ha sconfitto lo stesso rivale, Prabowo Subianto.

Ora il Paese comincia a guardare alle prossime elezioni che sono attese per febbraio del prossimo anno e che, di fatto, riproporranno lo stesso dilemma: un presidente pro-pancasila o uno che apra la strada all’applicazione della shari’a come vorrebbe il fatto che il Paese è per l’83% della sua popolazione di tradizione musulmana.

Proprio in questi giorni, i partiti hanno cominciato a scoprire le loro carte per le possibili candidature in un Paese dove la democrazia è presidenziale. Proprio il candidato sconfitto nel 2014 e nel 2019 dall’attuale presidente, familiarmente sopranominato Jokowi, pare destinato ed intenzionato a un terzo tentativo.

Prabowo viene da una delle famiglie dell’élite indonesiana ed è stato a capo delle forze speciali della repubblica asiatica, incarico durante il quale ha collezionato accuse – per altro mai dimostrate – di violazione dei diritti umani. In questo momento appare senza dubbio il candidato favorito, come uomo forte e navigato nei giochi politici del Paese e per aver sempre perso per una manciata di voti nelle due elezioni precedenti.

In questi giorni, è però emerso un’altro candidato che, con tutta probabilità, rappresenterà la concorrenza a Prabowo, sconfitto nove e quattro anni fa. Si tratta di Ganjar Pranowo, esponente del Partito Democratico Indonesiano di Lotta (Pdi-P), attualmente governatore della provincia di Giava centrale. L’annuncio è stato dato il 21 aprile dalla leader del partito, Megawati Sukarnoputri, già presidente dell’Indonesia dal 2001 al 2004 e figlia del primo leader della nazione, Sukarno (Kusno Sosrodihardjo, scomparso nel 1970).

Pranowo rappresenta la scelta di coloro che desiderano difendere il pluralismo e la laicità dell’Indonesia dalle forze islamiche integraliste, che vorrebbero adottare la shari’a al posto della pancasila. L’aspetto più convincente per i suoi sostenitori è il fatto che Pranowo non sia un militare o un politico al centro dei grandi giochi dei partiti.

Inoltre, è ancora relativamente giovane (54 anni) e la sua popolarità è in crescita soprattutto fra i giovani e fra coloro che non appartengono o non appoggiano la casta militare. È stato eletto governatore di Giava centrale per la prima volta nel 2013 e riconfermato nel 2018. Qui ha condotto una serie di campagne contro la corruzione delle amministrazioni locali, che è stata molto apprezzata dall’opinione pubblica.

Il terzo concorrente sarà, sembra ormai accertato, Tukiman Taruna Sayoga, un docente all’Università cattolica Soegijapranata di Semarang, capoluogo della provincia di Giava Centrale, che in passato ha collaborato con Ganjar Pranowo.

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