Libia: il caos, come previsto

La relativa calma di questi ultimi mesi nascondeva la realtà di acerrime rivalità tra tribù, mai sopite dopo la “stupida” guerra del 2011

Dopo un anno e mezzo di relativa calma, cioè di scontri limitati e di battaglie politico-militari sullo sfondo, Tripoli e la sua regione sono di nuovo teatro di scontri violenti tra le milizie, che buttano per aria il paziente sforzo diplomatico tessuto, spesso e volentieri senza coordinamento, da Francia, Italia, Onu, Stati Uniti.

Il Consiglio di presidenza, organo esecutivo del governo di accordo nazionale, ha dichiarato lo stato di emergenza nella capitale e nella sua periferia, una settimana dopo l’inizio degli scontri che hanno lasciato sul terreno almeno quaranta morti. Mentre 400 detenuti del carcere di Ain Zara sono uccel di bosco.

Lo stato di emergenza dichiarato da al-Sarraj è forse una dichiarazione di frustrazione, più che un atto con effetti pratici, vista l’impotenza del suo governo di accordo nazionale sin dall’inizio della crisi, in particolare per la forte contrarietà dei francesi, e forse l’appoggio degli italiani.

Ricordiamo che, in seguito all’accordo di Skhirat (in Marocco) firmato alla fine del 2015, il governo Sarraj ha ricevuto il sostegno delle Nazioni Unite e il tacito accordo delle milizie locali, che di fatto mantengono il potere militare. Oggi sono queste stesse milizie, certamente influenzate dall’altro big della politica libica, il generale Haftar che controlla parte della Cirenaica, nemico dichiarato di Sarraj, nonostante gli innumerevoli tentativi di conciliazione avviati dalle Nazioni Unite.

Ma si sa, in Libia, dalla scomparsa di Gheddafi che è stata un po’ come un “tana libera tutti”, una dozzina di milizie almeno si sono spartite il territorio. In Tripolitania alcuni gruppi armati erano stati esclusi dagli accordi con al-Sarraj, e così quest’oggi hanno approfittato del disordine generale per riconquistare una testa di ponte a Tripoli. La prospettiva di elezioni legislative e presidenziali entro la fine dell’anno s’allontanano inesorabilmente. A Parigi, a fine maggio, approfittando anche della mancanza di un governo in Italia, il presidente Emmanuel Macron aveva riunito i principali protagonisti della crisi libica, che avevano concordato l’obiettivo di organizzare queste doppie elezioni prima del 10 dicembre.

Per riuscire a riportare un po’ di ordine in Libia (i cui responsabili, in primis, sono gli ex Sarkozy e Cameron, che nel novembre 2011 lanciarono uno scriteriato attacco aereo contro la Libia di Gheddafi, senza prevedere il futuro di caos che gli osservatori più attenti preconizzavano) è sempre più evidente che servirebbe il concorso dell’intera comunità internazionale, concorde nel non cercare il bene dei singoli Stati interessati (anche per il problema delle migrazioni che transitano per il Paese), ma quello della Libia e della comunità internazionale nel suo complesso. Finora le diplomazie interessate (ripeto, Francia e Italia in testa, con una presenza delle Nazioni Unite assai depotenziata) hanno fatto i loro interessi: cosa dovrà mai succedere perché riescano a lavorare di concerto?

 

 

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