Liberi di amare

Negli anni Cinquanta l’apostolo Paolo aveva visitato la regione della Galazia, al centro dell’Asia minore, l’attuale Turchia. Erano sorte comunità cristiane che avevano abbracciato la fede con grande entusiasmo. Paolo aveva rappresentato davanti ai loro occhi Gesù crocifisso, ed essi avevano ricevuto il battesimo che li aveva rivestiti di Cristo, comunicando loro la libertà dei figli di Dio. Correvano bene nella nuova via, come riconosce Paolo stesso. Poi, improvvisamente, cercano altrove la loro libertà. Paolo si stupisce che così presto abbiano voltato le spalle a Cristo. Di qui il pressante invito a ritrovare la libertà che Cristo aveva dato loro: Voi (…) siete stati chiamati a libertà. A quale libertà siamo chiamati? Non possiamo già fare quanto vogliamo? Non siamo mai stati schiavi di nessuno, dicevano, ad esempio, i contemporanei di Gesù quando egli affermava che la verità da lui portata li avrebbe resi liberi. Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato, aveva risposto Gesù. C’è una schiavitù subdola, frutto del peccato, che attanaglia il cuore umano. Ne conosciamo bene le sue molteplici manifestazioni: il ripiegamento su noi stessi, l’attaccamento ai beni materiali, l’edonismo, l’orgoglio, l’ira… Da soli non saremo mai capaci di svincolarci fino in fondo da questa schiavitù. La libertà è dono di Gesù: ci ha liberato facendosi nostro servo e dando la vita per noi. Di qui l’invito ad essere coerenti con la libertà donataci. Essa non è tanto la possibilità di scegliere fra il bene e il male, quanto di andare sempre più verso il bene. Così Chiara Lubich parlando ai giovani. Ho costatato – continua – che il bene libera, il male rende schiavi. Ora, per avere la libertà bisogna amare. Perché ciò che ci rende più schiavi è il nostro io. Quando invece si pensa sempre all’altro, o alla volontà di Dio nel fare i propri doveri, o al prossimo, non si pensa a sé stessi e si è liberi da sé stessi. Come vivere dunque questa Parola di vita? Ce lo indica Paolo stesso quando, subito dopo averci ricordato che siamo chiamati a libertà, spiega che questa consiste nel mettersi a servizio gli uni degli altri, mediante la carità, perché tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Si è liberi – ecco il paradosso dell’amore – quando per amore ci si pone a servizio degli altri, quando, contrastando le spinte egoistiche, ci si dimentica di noi stessi e si è attenti alle necessità degli altri. Siamo chiamati alla libertà dell’amore: siamo liberi di amare! Sì, per avere la libertà bisogna amare. Il vescovo Francesco Saverio Nguyen Van Thuan, imprigionato per la sua fede, rimase in carcere 13 anni. Anche allora si sentiva libero perché gli restava sempre la possibilità di amare almeno i carcerieri. Quando sono stato messo in isolamento – racconta – fui affidato a cinque guardie: a turno, due di loro erano sempre con me. I capi avevano detto loro: Vi sostituiremo ogni due settimane con un altro gruppo, perché non siate ‘contaminati’ da questo pericoloso vescovo. In seguito hanno deciso: Non vi cambieremo più; altrimenti questo vescovo contaminerà tutti i poliziotti. All’inizio le guardie non parlavano con me. Rispondevano solo sì e no. Era veramente triste (…). Evitavano di parlare con me. Una notte mi è venuto un pensiero: Francesco, tu sei ancora molto ricco, hai l’amore di Cristo nel tuo cuore; amali come Gesù ti ha amato. L’indomani ho cominciato a voler loro ancora più bene, ad amare Gesù in loro, sorridendo, scambiando con loro parole gentili. Ho cominciato a raccontare storie dei miei viaggi all’estero (…). Hanno voluto imparare le lingue straniere: il francese, l’inglese… Le mie guardie sono diventate miei scolari!.

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