L’eterna guerra dei rifiuti

Nuova emergenza nel capoluogo campano. Intanto, a Caserta, si sperimentano nuove tecnologie per riciclare
emergenza rifiuti napoli

Ancora una volta si torna a parlare della spazzatura a Napoli. Gli impianti per lo smaltimento, intasati e sommersi dai rifiuti, sono al collasso. In questi giorni circa duemila tonnellate di immondizia, non raccolte, si ammassano nei cassonetti e sui marciapiedi, e, secondo stime diffuse dall’Asia, l’azienda che provvede alla raccolta ed allo smaltimento nel capoluogo campano, domenica 3 aprile le tonnellate di immondizia non raccolta saliranno a tre.

 

La situazione per la popolazione è, inevitabilmente, diventata insostenibile, tanto più che ora, con l’arrivo della stagione primaverile e l’aumento della temperatura, si amplifica il problema dei cattivi odori e della proliferazione di ratti ed insetti, e si innalzano, di conseguenza, le paure di ordine igenico-sanitario. Voltar pagina, ormai, è diventata una necessità primaria, e qualcosa forse si muove.

 

Venerdì 25 marzo a Caserta si è svolto un convegno dal titolo Recenti tecnologie per il trattamento dei rifiuti solidi urbani in cui è stata presentata una nuova proposta: il sistema autoclave. Il processo consiste nel trattamento del rifiuto solido urbano indifferenziato o dell’organico differenziato all’interno di una autoclave che, alla temperatura di 160° e alla pressione di 6,2 bar, in poco più di due ore, elimina i cattivi odori e crea una poltiglia che, opportunamente lavorata, rilascia in quindici giorni quantità finora mai ottenute di biogas con alte percentuali di metano. Il biogas serve poi per produrre energia elettrica e termica. Tutto con la rivoluzionaria novità che ad essere inserito all’interno dell’autoclave è esclusivamente vapore acqueo.

 

Infine, al termine del trattamento, nel caso ad essere lavorati siano rifiuti solidi urbani, le varie componenti (ferro, alluminio, vetro, plastiche) vengono separate ed hanno luogo i processi di riciclo, con particolare attenzione alle plastiche, inviate al trattamento in p2p (plastic to petrol), per la produzione di carburante. E, facendo i conti in tasca a Stato e imprenditori, quale sarà la mole di investimenti necessaria ad avviare e portare avanti questa nuova tecnologia?

 

Per Lucio Sanasi, fondatore della società di consulenza tecnica Sefit, «Gli investimenti sono circa 700 euro per tonnellata, se si prende come riferimento un impianto da 50 mila tonnellate, che secondo le stime servirebbe 100 mila abitanti. Salendo di tonnellaggio i costi andrebbero diminuendo, e, viceversa, scendendo salirebbero. Per quanto riguarda i tempi di ritorno degli investimenti, invece, si parla di cinque, sette anni dall’apertura degli impianti».

 

Lo stesso Lucio Sanasi però, interrogato in merito alla fattibilità di queste nuove proposte sul fronte riciclo, ammette la presenza di difficoltà non facili da superare: «Il problema è che gli imprenditori del settore comincino ad interessarsi a questi ambiti di ricerca. Si tratta di imprenditori che non amano rischiare sulle nuove tecnologie, ed a maggior ragione figuriamoci se avranno il coraggio di farlo i politici».

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