L’educazione al tempo di Facebook

Internet, social network, Youtube fanno ormai parte della nostra quotidianità. La loro presenza esercita una fortissima influenza sulla vita dei giovani condizionando la trasmissione di modelli e schemi di comportamento. Una dinamica che gli educatori devono tenere presente. Ne parla Bellantoni nel suo libro Ruoli di genere. Per una per un’educazione affettivo-sessuale libera e responsabile (Città Nuova, 2015)
Ruoli di genere

È importante interrogarsi su come i cambiamenti socio-culturali – caratterizzanti il mondo contemporaneo, con le sue carat­teristiche di “villaggio globale” e di “rete interconnessa” – possano influenzare lo sviluppo della condotta, tanto negli adulti quanto, più specificamente, nei soggetti in età evolutiva. In particolare, va consi­derato come attualmente – e diversamente dall’epoca che va dall’im­mediato dopoguerra al boom economico, contrassegnata dalla sem­plice contrapposizione di due schieramenti culturali contrapposti, simboleggiati nelle due note figure di Beppone (il fronte comunista) e don Camillo (l’area cattolica), così ben rappresentate da Guareschi (1908-1968) nei suoi romanzi – si sia in presenza piuttosto di una mul­tiforme complessità, multietnica-multiculturale e multimediale, che, come evidenziato da molti studiosi, contraddistingue la nostra società e cultura postmoderna come “liquida” ed eticamente “relativistica”.

È evidente come, in tale panorama socio-culturale, il compito edu­cativo si presenti assai più delicato e complesso e il suo obiettivo come fondamentale, e che piuttosto che ridursi a un mero trasferimento di contenuti l’esigenza è che l’educazione oggi si focalizzi maggiormente sulla promozione di nuove capacità di orientamento e discernimen­to, in un contesto in cui la varietà di modelli e quadri di riferimento disponibili lascia al soggetto ampi spazi di libertà, ma anche la sfida di una maggior responsabilità e di saper andare anche controcorrente.

In questo mutato contesto, i media assumono un ruolo partico­lare nella trasmissione di modelli e schemi di comportamento, che a volte assumono forme di vera e propria propaganda subliminale o di comunicazione persuasiva fino alla manipolazione, aspetti mai suf­ficientemente denunciati, ma direttamente correlati con le condotte socio-affettive, sessuali e di genere. Ne risulta un’influenza, evidente e non sempre consapevole, sui modelli di coppia e di relazione, sugli stessi significati di amore e sessualità, col rischio di una mercificazione di tali contenuti e di un loro inserimento nella logica dei consumi.

In tal senso, già da una ricerca condotta alcuni anni fa dalla SIP (Società Italiana di Pediatria) su sessualità, adolescenti e video-com­portamenti, si evidenzia come sia sempre maggiore la percentuale di adolescenti che trascorrono “troppo” tempo dinanzi al pc.

I dati raccolti sottolineano che, se nel 2000 gli adolescenti che usa­vano internet rappresentavano solo il 5,2% degli intervistati, oggi la percentuale di coloro che posseggono e usano un pc è pari al 97%! Inoltre, più del 50% dei soggetti di 12-14 anni è su Facebook (e un altro 20% intende andarci); il 55% di questi, sono ragazze che fanno a gara per avere più amici e non importa che siano sconosciuti, basta che (nel gergo giovanile) siano “fighi”.

Quindi, per la maggior parte dei ragazzi, oggi il pc significa “Face­book”, via privilegiata per avere più amici possibili. Il 75% ricorre a chat e messenger; l’80% usa YouTube (filmati “postati”) e il 40% ha un proprio blog. Spesso, sia il pc che la tv restano accese ininterrotta­mente e contemporaneamente (il 7% dei soggetti intervistati arriva a 4-5 ore di schermo).

Ciò comporta anche un aumento dei comportamenti a rischio e di abitudini negative quali accettare l’amicizia di sconosciuti, dare il proprio numero di telefono, trattare inadeguatamente temi “scottan­ti”. Ad esempio, il 31% si relaziona al tema sesso attraverso internet, e questo apre la porta ad altri rischi insiti nella rete. Ad esempio, l’uso dei network o la visione di programmi televisivi violenti, per “effet­to abituazione” (Mandolesi 2004, 69-70), tende a ridurre le difese e aumenta il rischio; infatti, soggetti esposti a circa tre ore di utilizzo internet manifestano le seguenti condotte pericolose: forniscono il proprio numero di telefono a uno sconosciuto (37,2%), accettano appuntamenti “al buio” (24,1%) o, anche, proposte di sesso online (19,6%). Infine, nel 22% dei casi, soggetti adolescenti ammettono di aver avuto il primo rapporto sessuale con partner conosciuti in rete (Milano 2012)3.

In realtà, la cosiddetta bit generation, in questa full immersion tele­matica cerca lo “sballo” (Maggiolini – Riva 2003, 102), così come attra­verso altre condotte più o meno dipendenti, per colmare un “vuoto”che nasce “dall’essere troppo in balìa di se stessa”, quel vuoto che Frankl (1990) ha evidenziato come perdita di un senso, di uno scopo, di una direzione nella propria esistenza, fenomeno acuito dalle carat­teristiche confusive della cultura attuale sopra descritta (Frankl 1990, 21-30).

A questo riguardo, senza avere la presunzione di approfondire tali piste educative, nasce l’esigenza da parte di chi si occupa di educa­zione, a livello professionale e di volontariato sociale, innanzitutto, di comprendere e quindi di esercitare un sano controllo: innanzitutto, particolare risalto va dato ad un atteggiamento di ascolto empatico, ca­pace di favorire il “mettersi nei panni” di chi s’intende educare – non in vista di un assurdo giovanilismo o di un appiattimento tra educatori ed educandi, che dissolva la stessa funzione formativa – e la persona­lizzazione dell’azione educativa, che rimanda all’assunto che non tutti possono essere educati allo stesso modo, ma si tratta di adeguare i propri interventi e di calibrarli sulle reali esigenze dell’altro (Bellan­toni 2011a).

Riguardo a una opportuna e funzionale dose di “controllo”, senza entrare troppo nel merito e rimandando a pubblicazioni specifiche sul tema, si sottolinea l’importanza dell’autorevolezza delle figure educati­ve e formative, evitando il rischio di cadere nel permissivismo o nell’au­toritarismo (Franta 1988, 48-74; Gordon 1994, 102-116; 2001, 25-30).

L’educazione è apprendimento di umana capacità di vita respon­sabile e adulta a tutti i livelli, con particolare riguardo alla maturità decisionale, compiuto dall’individuo in crescita […]. Ma è appren­dimento che non necessita di nessuna regola, oppure ha bisogno di essere guidato, orientato, direzionato? In una famiglia bastano solo l’affetto, il cuore perché si verifichi la crescita dell’umana capacità di vivere? (Macario 1998, 149).

Si tratterà, ancora, da una parte di acquisire competenze relative al mondo di internet e dei social network, sempre in ordine alle esigenze di comprendere e gestire i fenomeni, le ricchezze e i rischi ad esso con­nessi. Infine, riguardo al “vuoto di senso” si dovrà rinunciare all’illu­sione, da parte di educatori e adulti significativi, di poter educare senza

educarsi, dare un orientamento senza averlo chiaro prima di tutto per se stessi. Infatti, non si può dare ciò che prima di tutto non si possiede. In tal senso, ad esempio, ci si può chiedere: in relazione a una educa­zione alla vita matrimoniale, quanto la vita coniugale in sé e la testi­monianza offerta dagli adulti rappresentano ancora un modello di vita affascinante, gioioso, coinvolgente per le giovani generazioni? Spesso sentiamo adulti porsi la domanda: “Ma cos’hanno in testa questi giova­ni?”. Ebbene, considerato che a livello di DNA i giovani nascono oggi con lo stesso patrimonio genetico di cinquant’anni fa, probabilmente la responsabilità di eventuali cambiamenti nella fascia giovanile, vada ricercata spesso nei modelli e nei valori offerti dagli adulti, che spesso appaiono confusi, poco coerenti e meno ancora credibili.

 

Domenico Bellantoni, RUOLI DI GENERE, per un’educazione affettivo-sessuale libera e responsabile (Città Nuova, 2015)

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