Le stelle ed io

Fin dal mese di aprile, specie se abiti ad un sesto piano, la primavera palermitana ti permette di stare a guardare, a notte inoltrata, le stelle. Neppure il grosso lampione allo svincolo dell’autostrada proprio lì sotto, o il vociare dei primi ambulanti dei mercati generali a due passi da casa possono negarti, o renderti meno affascinante, questo spettacolo misterioso e tanto atteso. Tra me e le stelle c’è una storia d’amore che non ha mai subìto la metamorfosi in passione, traducendosi in ricerca e studio scientifico: s’è sempre fermata al mondo dell’irrazionale. Che volete? Vederle così piccole e lontane a me basta e avanza. Ma quante cose mi hanno sempre detto! Così dal mese di aprile in avanti, nelle ore serali, il terrazzo di casa si trasforma in arena e… Signori e signore, ecco a voi il mondo delle stelle!. Potrà sembrare strano, ma in questi mesi mi sono accorto che ognuna di loro mi riconduceva a momenti, storie, amici diversi. Così ieri, centellinando il limoncello del papà di Toni, non potevo staccare lo sguardo da Simona: la chiamo così perché il Carro minore mi fa pensare a Simona, appunto, una scout che ce la metteva tutta per inculcare nel nostro gruppo i nomi delle varie costellazioni: ahimè con scarsi risultati… però quel punto interrogativo tracciato nel cielo dalla costellazione del Carro minore mi restituisce con la stessa intensità quell’amicizia. Spostando lo sguardo poco più in là, trovo Roberto che gli studiosi chiamano il Grande carro, mentre a me ricorda le notti trascorse a spasso per le colline del Valdarno col suo telescopio ad osservare le stelle e a coglierne la bellezza. Lui sì che ci capiva davvero qualcosa, ma a me dei suoi insegnamenti sono rimaste solo l’amicizia e tante, tante risate sulla mia goffaggine culturale a proposito di costellazioni. E quanti altri amici, sulle colline della mia città di origine, si riproiettano poco sopra questo sesto piano di un palazzone alla periferia di Palermo. Momenti belli, tristi, dolorosi, in cui si metteva in gioco la vita, momenti di silenzio che hanno nomi, cognomi, che restituiscono alla memoria colori di occhi, lacrime versate, momenti che sigillano segreti e patti di fedeltà fino alla fine. Tutto questo segna la distanza tra me e quelle stelle. E soprattutto Dio, scoperto tra le pieghe di quegli anni gravidi di sogni, di ricerca sfrenata di idealità. Lui, colto tra quei bagliori notturni e poi tradotto in un richiamo verso persone strane, sole, abbandonate, emarginate: tra me e quelle stelle c’è la logica conseguenza dell’incontro con Colui che ha dato senso a tutto della mia vita, che poi mi ha condotto verso vite spezzate, verso chi ha visto infrangersi sogni, o è stato dimenticato. Così ho davanti Tommaso che forse ho incontrato prima, mentre, guardando le stelle dal mio balcone, mi dicevo: Ma per cosa gioco la mia vita?. Il giorno dopo ecco Tommaso, un ultraottantenne maleodorante che viveva con quanto trovava nella spazzatura di piazza Cavour e con gli avanzi del rancio della caserma lì a due passi da casa sua: con lui, la stessa strana sensazione d’infinito provata la sera prima guardando le stelle e rivolgendomi a Dio che sapevo, forse, nascosto là dietro da qualche parte. Dio e l’umanità erano la stessa cosa: l’unica realtà per cui volevo vivere. Tommaso è diventato la mia Stella polare fino a quando non è morto: ma ormai qualcosa era cambiato. Una sera ero teso, preoccupato: era alle porte una grande manifestazione giovanile ed il cielo minacciava pioggia. Vivevo uno di quei momenti in cui fingi serenità ma tutti i discorsi ti sono estranei, ti scivolano sopra e non lasciano spazio a nulla se non a mille strategie di riserva. Mentre mi arrovellavo, ho individuato una stellina posizionata proprio nell’unico spazio di finestra che potevo vedere dalla sala da pranzo. Mi ha dato un senso di pace al pensiero Ma se c’è lei ci sarà buon tempo… Non l’ho persa d’occhio e alla fine della cena, uscendo sul mio solito terrazzo, ho visto che non era sola: migliaia di stelle. Il tempo era cambiato e le ho ammirate ad una ad una così come un capitano di una nave si gode in solitudine una brezza che annuncia la fine della bonaccia, o l’avvistamento della terra ferma prima che altri lo sappiano. Così me le gustavo tra i rumori di mercato e gli svincoli di autostrada ma tutto era così buio e silenzioso e c’ero solo io con loro: Simona, Roberto, le lacrime di tanti, i segreti di altri, Tommaso, Dio… erano tutti lì a godersi quello spettacolo.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons