Le priorità di Mike

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Prima di conoscere Mike Penberthy si resta colpiti dalla sua storia sportiva: è uno dei pochi giocatori che abbiano calcato i parquet italiani dopo aver vinto il titolo Nba. È un fortissimo tiratore dotato di eccezionale freddezza: Conduce la classifica dei tiri liberi ed è nei primi posti in quella dei tiri da tre punti. Conoscendolo meglio però si resta colpiti anche da altro: dopo la partita torna sempre in campo a salutare i tifosi, a giocare con i suoi figli o con quelli dei suoi compagni. Ha sempre un sorriso per tutti e non rifiuta mai un saluto o un autografo. Il suo modo di porgersi è talmente semplice per un campione del suo livello che viene voglia di capire cosa c’è dietro. Qualche indizio ci viene dai suoi studi. È stato, infatti, il giocatore più importante nella storia di una piccola università religiosa californiana: il Master’s College e nella sua scheda personale, ancora presente su Internet, l’obiettivo indicato per la sua carriera universitaria (Laurea in Studi biblici) era quello di diventare pastore. La curiosità cresce ed allora gli chiediamo un incontro. L’andamento della squadra ci porta a temere per l’appuntamento: siamo nel vivo dei playoff e la sera prima Napoli perde a Pesaro, torna di notte in pullman per giocare l’indomani la partita che vale tutta la stagione. Decido comunque di presentarmi al palazzetto e Mike dopo un breve incontro con l’allenatore, si siede tranquillamente a rispondere alle domande come se in quel momento non ci fosse altro al mondo. Mike, in questi due anni e mezzo a Napoli hai vissuto dei momenti forti come la nascita del tuo secondo figlio e la morte di tuo padre. Ti è pesato essere lontano da casa? È dura, ma è normale per il mio lavoro. Mia moglie dopo sette anni di matrimonio si è ormai abituata ed anche lei è contenta di stare a Napoli quando può. Ora però è in California ma vorrei proprio che fosse qui con i bambini. Nelle tre stagioni a Napoli hai cambiato quattro volte il numero di maglia. Anche in precedenza ha cambiato spesso il numero. Come mai? Conservo le varie magliette delle squadre in cui ho giocato ed il numero mi aiuta a ricordare un momento particolare o una persona. Ad esempio quest’anno ho scelto il 17 come regalo a mia moglie dato che mi sono sposato il 17 maggio. Altri invece sono attaccati ad un numero e lottano per averlo sulla maglietta. Io preferi- sco non essere legato ed avere tanti ricordi. Ti sei laureato in Studi biblici. Come vivi quest’aspetto ora? Il rapporto personale con Dio è sempre stato per me la cosa più importante. È una bella sfida farlo crescere tra gli impegni sportivi e familiari. Ho certamente meno tempo rispetto al periodo dell’università ma lo sfrutto al meglio anche perché penso che la mia principale responsabilità sia quella di formare i miei bambini. E la prospettiva di diventare pastore? Resta, ma non si può mai dire. Non mi aspettavo di diventare un giocatore professionista ed invece eccomi qui. Preferisco non fare programmi e cercare di capire cosa il Signore ha in mente per me momento per momento. I suoi programmi sono certamente migliori dei miei. Che ruolo ha avuto la tua famiglia di origine per la tua scelta di fede? Importante: vengo da una tradizione familiare di impegno convinto nella Chiesa battista. I miei nonni erano entrambi pastori così come lo è stato mio padre ed ora lo è mio fratello. Come dicevo, mi piacerebbe trasmettere questo anche ai miei bambini. C’è un passo della Bibbia che senti particolarmente tuo? Tra i tanti che medito ogni giorno sento adatto alla mia situazione Proverbi 3, 5-6 Confida nel Signore con tutto il tuo cuore, non appoggiarti sulle tue convinzioni. In tutto ciò che fai ricordati del Signore ed egli ti indicherà la via giusta. Cosa pensi del dialogo ecumenico? Per me la Bibbia è il fondamento della chiesa. Il modo con cui decidiamo di chiamarci è relativo. Se studiamo la Bibbia ed impariamo dalle Scritture, allora siamo una chiesa. Nelle partite ti ho visto spesso rinunciare a soluzione personali in favore della squadra. È un valore questo per te? Sì, l’importante è solo la vittoria della squadra. Il mio successo personale non conta: non riuscirei a ricordare quanti punti ho realizzato nelle ultime partite, ma ricordo bene se la squadra ha vinto o perso. La carriera di uno sportivo ha alti e bassi. Come fai a superare i momenti difficili? Proprio ora vengo da una sconfitta, sono affaticato e mi manca la famiglia. Sento che il mio lato umano è debole. Proprio in questi momenti cerco maggiormente il rapporto con Dio e con gli amici per rafforzare il mio lato spirituale e ricominciare.

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