Le contraddizioni del Nuclear Ban

Due giorni di convegno a Ischia, organizzato dall'Uspid, per per realizzare un dialogo sulle questioni del disarmo e della pace mettendo insieme il mondo accademico, la società e la scuola, coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni

Studiosi di varie discipline aderenti all’Unione scienziati per il disarmo (Uspid) si sono dati appuntamento ad Ischia dal 20 al 21 aprile di quest’anno per un primo bilancio a pochi mesi dal Trattato per la messa al bando delle armi nucleari (il cosiddetto Nuclear Ban approvato dall’Onu il 7/7/17) che ha inteso mettere fuori legge sia le testate nucleari esistenti, detenute da Usa, Russia, Cina, India, Gran Bretagna, Francia, Israele, Pakistan e Corea del Nord, sia lo sviluppo di nuove armi.

Il convegno è stato promosso dalla Fondazione città della scienza in collaborazione col Circolo culturale Sadoul, il Comune d’Ischia ed il liceo statale “Ischia” per realizzare un dialogo sulle questioni del disarmo e della pace mettendo insieme il mondo accademico, la società e la scuola, coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni. Un tema particolarmente sentito dai giovani, già molto scossi dai recenti bombardamenti chimici sulla inerme popolazione siriana.

Nel corso dei due giorni sono emerse tutte le contraddizioni che hanno accompagnato il nuovo Nuclear Ban rispetto al precedente Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (Tnp) che quest’anno compie ormai il suo cinquantesimo compleanno. Gli Stati nucleari non intendono aderire al nuovo trattato perché la loro deterrenza di armi nucleari li rende incompatibili con esso e ciò, purtroppo, finisce per minacciare seriamente il Tnp e il suo regime di non proliferazione. Questi governi, infatti, stanno proseguendo senza esitazione nella loro politica di sostegno agli arsenali nucleari, così come ha ammesso lo stesso presidente Trump allorquando ha dichiarato che: «Il deterrente nucleare degli Stati Uniti è moderno, robusto, flessibile, resistente e pronto, opportunamente adattato per dissuadere le minacce del 21° secolo e rassicurare i nostri alleati».

I giovani studenti presenti al convegno sono stati coinvolti nei preziosi momenti di dialogo che hanno dato loro consapevolezza dei problemi in campo e l’opportunità di maturare valutazioni personali. Non è mancata, infatti, l’osservazione di qualche attento studente che ha evidenziato la necessità di dotare l’Onu di nuove regole, depotenziando la posizione egemonica degli Stati con potere di veto che non facilitano un processo di pacificazione sul nostro pianeta.

Un ampio spazio è stato dedicato alla tavola rotonda sui nuovi settori strategici, uno scenario a dir poco inquietante, quello prospettato dagli attacchi cibernetici e dalle armi autonome. Pensiamo per un attimo ad un attacco con uno sciame di droni, resi autonomi (killer robot), che sono in grado di colpire contemporaneamente più obiettivi, compiendo un’azione a tappeto, controllati da sistemi a base di intelligenza artificiale, rispetto ai quali qualsiasi forma di difesa sarebbe vana. Uno squarcio di un futuro apocalittico, dove il rapporto già di per sé tragico tra vittima e carnefice non lascia spazio ad alcuna possibile commiserazione umana, perché preda di una macchina, ovviamente incapace di sentimenti e di senso di responsabilità, ma solo cinica ed immutabilmente predeterminata. Eppure anche l’Italia di fronte alla prospettiva non molto remota dell’uso di armi autonome rimane molto silenziosa. Sarebbe necessaria anche in questo campo un’adeguata campagna di sensibilizzazione delle coscienze attraverso gli organi di stampa e il coinvolgimento di tutta la società.

Il coinvolgimento dei vari segmenti della società civile è alla base dell’esperienza condotta dall’università di Pisa e dalle Scuole della Normale e di S. Anna, che, in occasione dei 70 anni dall’attacco di Hiroshima, hanno promosso una serie di iniziative che hanno visto collaborare assieme associazioni, gruppi pacifisti, mondo politico, comunità cristiane, buddiste ed islamiche, riuscendo a diffondere una cultura di pace capace di muovere le coscienze, promuovendo il disarmo interiore delle persone, ancor prima di quello militare. Un modello che pensiamo sia facilmente esportabile qui sull’isola d’Ischia e in altre realtà locali, che operando dal basso nella società, può favorire lo sviluppo di una vera cultura di pace capace di spingere la politica a fare i suoi passi per trasformare un’utopia in realtà.

Nelle conclusioni, Pietro Greco giornalista e scrittore, ha ricordato come accanto a tutti noi che ci battiamo per una pace disarmata, c’è un’autorevole “pacifista”, difensore dei diritti degli ultimi e di quanti continuano a non vedere orizzonti di pace, ed è papa Francesco che durante il Simposio sul Disarmo in novembre scorso ha affermato:«Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà».

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