Le Colonne d’Ercole

La mia vita di oggi, solo, in questo eremo sperso nella nebbia e nel gelo della campagna umbra invernale, è ben altro da tanti anni fa, con una famiglia bella, una casa bella, invidiati da tanti…
nebbia

L’Odissea, come l’Iliade, come la Divina commedia, come i Promessi sposi: si studiano (studiavano?) a scuola, obbligatorio. Obbligatorio e controproducente, in genere, come tutte le cose se non ben spiegate, coinvolte, amate.

Mi ricordai della storia di Omero tanti anni or sono. Andai a cercarne qualcosa, mi parve la mia storia. E lo era, è la storia dell’uomo. Dell’uomo onesto, quasi direi, che mai si stanca della ricerca, mai termina, si acquieta, si siede, si rilassa. Sempre in una tensione interiore al più, al vero.

Quell’uomo ero io, molto meno ardimentoso certamente, ma nel mio piccolo una qualche ricerca esistenziale andava avanti. Ho dovuto oltrepassare le Colonne d’Ercole anche io. In mare aperto, e mai avrei immaginato. La paura c’era, l’ansia, il terrore di non ritrovare la bussola per la strada di casa. Ma dovevo andare. Dovevo trovare l’uomo che stava in me, quasi dormiente, in attesa di sbocciare a vita, nascere nuovo.

Avevo le mie certezze, ero saturo di cose buone che evidentemente non bastavano. Una inquietudine sottile da anni spingeva sempre più in là. Dolorosa, inimmaginabile, non raccontabile.

Sono andato oltre le Colonne. Ho conosciuto il mare di fuori (come in Sardegna dicono del mare ad ovest), i flutti, le ondate senza posa, la tempesta del cuore. Evitabile? Non so, questa è la mia storia, mia e di tanti.
Era forse necessario per trovare l’uomo in sé, la propria umanità che stava soffocando, l’uomo che deve essere pieno e vero per essere redento ad immagine del Figlio: vero uomo.

Dopo tanto girovagare, con sirene dappertutto, con la bussola che puntava ovunque lontano, è accaduto l’atteso ma quasi oramai insperato più. La bussola ha ripreso a funzionare. Ovvero: la classica “botta in testa” che permette di ritrovarsi, in sé. Ritrovarsi e ritrovare il Cielo che stava dentro sotto stratificazioni di “altro”.

Dicevo di recente ad una cara amica che la mia vita di oggi, solo, in questo eremo sperso nella nebbia e nel gelo della campagna umbra invernale è ben altro da tanti anni fa, con una famiglia bella, una casa bella, invidiati da tanti. Ma dentro covava il dolore, i problemi irrisolti, la mancanza del senso.

Ieri siamo stati a fare i baby sitter ai nipotini. Sei ore, interrotte solo dal rientro di papà e mamma per cena e qualche gioco coi piccoli. Nella stanza dei giochi, attrezzata proprio per loro due, accade un fatto solito, bellissimo, ma che ancora non avevo “fotografato” in pieno.

Il piccolo Nenno, ora fa dieci mesi, gattona gattona e sempre verso la porta se ne fugge. Se è chiusa si arrabbia, tenta di aprirla. Se è aperta se ne va “oltre”, deve oltrepassare le sue Colonne d’Ercole, novello Ulisse. Ha capito gli spazi e deve scoprire, già quel poco mondo tutto suo non gli basta, ed è un mondo bello, a sua misura.

Era da piangere ma non ne avevo il tempo, occorreva corrergli dietro e badarlo, da bravo nonno…

 

(dal blog In…separabili)

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