Le “cialtronate” di Giovanni Scifoni

L’attore romano ne “Le ultime sette parole di Cristo”.
Giovanni Scifoni

Tre mesi, 40 spettacoli nella ex cappella Orsini, presso Campo de’ fiori, a Roma. 3600 persone. Tante ne ha radunate Giovanni, 34 anni, volto del cinema e della fiction. Di giovani, poi ne ha calamitati, in un colpo solo, anche 1500 a Rimini, al Palazzo dei Congressi. È stato poi in Umbria, nelle Marche, sarà a Varese… Lui, non si ferma. Pure se la stampa tace. Ma lui, potenza del passaparola, ha fatto il pieno di gente. Anche colleghi, come il regista Luciano Odorisio o l’attore Lando Buzzanca.

Perché la gente va a vedere Le ultime sette parole di Cristo, sottotitolato ironicamente “minestra di fede per cialtrone e strumenti antichi”? «Vedono un attore – dice lui – che ha voglia di dire la sua fede, ne ha l’esigenza. Questo colpisce».

Lo spettacolo è originale: due strumentisti di musica antica, un piccolo palco, decine di immagini devozionali, anche di dubbio gusto, e lui che per due ore racconta, s’infiamma, ride, ironizza, piange, come nel teatro di narrazione di un Dario Fo o di un Ascanio Celestini. Passa dai Vangeli ai padri del deserto, da Nietzsche a Bergman, dal barbone teologo al predicatore barocco. «Ho preso da Dostoevskij l’idea di raccontare personaggi che la pensano anche all’opposto di me, con cui faccio un dialogo serrato». Conclusione? «I non credenti vengono, pensando a uno spettacolo in polemica contro la Chiesa, la spiritualità o il devozionismo, e restano soddisfatti; i credenti invece sono attratti da questa forma di catechesi». In verità, «io mi limito a fotografare certe forme di vivere la fede, con ironia, tant’è vero che si ride parecchio. Ma non c’è giudizio né polemica. Io parlo invece di morte e resurrezione, dell’aldilà e dell’aldiquà, dell’amore e della vita, di Gesù e dei Vangeli apocrifi… Insomma, tanti aspetti che hanno a che fare con la fede o con l’assenza di fede».

Temi non facili, si ride, ma alla fine tutti concordano. Quest’argomento serio, come lo è la spiritualità, fa pensare. «Mi dicono – conclude Giovanni –: “Sono contento, mi si sono mosse delle corde che avevo dimenticato da tempo”». Non è male per un “cialtrone” che ride e fa pensare.

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