Le caverne di Balambangan

Un racconto salgariano ci trasporta in un’isola dell’Oceano Indiano quasi inesplorata e ricca di risorse naturalistiche che attendono di essere valorizzate

Uno dei racconti di Emilio Salgari più drammatici e sanguinari, nel quale stesso autore compare come personaggio, è “Una vendetta malese”, pubblicato per la prima volta nel 1909 in appendice alla “Bohème italiana” e ora riproposto come volume a sé dalle Edizioni Bordeaux. La vicenda si svolge a Balambangan, un’isola dell’Oceano Indiano vicina alla punta nord del Borneo, dove un attempato marinaio genovese, il capitano Parodi, ha fatto fortuna con le sue piantagioni di gomma, raggirando abilmente il rajah locale e schiavizzando gli abitanti cinesi e malesi. Senonché il suo matrimonio con una bellissima dayaka molto più giovane di lui ha scatenato la violenta ribellione dei nativi, soprattutto quella di Padanga, spasimante della ragazza deciso a vendicare insieme al suo l’onore della propria gente. Sentendosi accerchiato, Parodi cerca aiuto nell’amico Salgari, col quale – nella finzione narrativa – è in rapporti commerciali, sapendolo imbarcato nei paraggi. Ma il suo destino è segnato: in un crescendo di tensione, il piantatore vede incendiati i possedimenti e durante la fuga, a un solo passo dalla salvezza, cade sotto il kriss di Pandanga, reso amok (cioè in stato di follia omicida) dall’azione dell’oppio.

Gli scenari naturali sono qui eccezionalmente tratteggiati da Salgari molto sobriamente, dovendo stare alle misure di un racconto; in compenso, lo scrittore riesce egregiamente a creare l’atmosfera da incubo che prepara la tragica conclusione. Si riducono dunque a poco le notizie su Balambangan. Ma noi, che vogliamo saperne di più, come prima cosa appuriamo che l’isola dista circa 20 chilometri da Kudat, porto del Sabah (secondo Stato della Malesia dopo Sarawak, nella parte settentrionale del Borneo) e circa 3 da Banggi, la più grande isola malese. Primo avamposto britannico nel 1761 per i commerci con la Cina, Balambangan venne abbandonata dopo soli due anni a causa delle ricorrenti scorrerie piratesche. Da allora la vita dei pochi nativi attualmente residenti è cambiata ben poco.

Inesistenti i collegamenti dal Borneo: mancano traghetti e il noleggio di un battello dall’isola di Banggi o da Kudat ha costi proibitivi. Sull’isola non esistono strutture decenti per chi voglia fare turismo: si trova solo qualche modestissimo alloggio su uno di quei pittoreschi villaggi su palafitte descritti in vari romanzi da Salgari.

Eppure non mancano le attrattive per chi è interessato alla cultura locale e alle bellezze naturali: sotto quest’ultimo aspetto, anzi, l’isola è un paradiso ancora in gran parte inesplorato. Basta pensare alle caverne disseminate nel suo territorio: una ventina quelle note, ma potrebbero essercene molte di più nella parte inesplorata. Oltre a presentare splendide formazioni calcaree, esse costituiscono l’habitat di rare forme di vita animale e vegetale ed hanno restituito reperti risalenti al Pleistocene. Purtroppo un sito come questo, con tutte le caratteristiche per diventare un parco naturale protetto, e quindi un potente attrattore turistico da cui potrebbe trarre beneficio l’economia locale, è minacciato dall’indiscriminata estrazione di calcare attuata dal governo del Sabah. Occorrerebbe qualcuno che, consapevole delle ricche risorse naturali di Balambangan, sapesse valorizzarle. Uno come Parodi, ad esempio!

 

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