Le armi alla Grecia nella geopolitica del caos

Anche il governo Tsipras non può ridurre troppo la spesa in armamenti, per il ruolo strategico di Atene nella Nato. A vendere armi sono Germania, Francia, Olanda, Usa e Italia. L’interesse di Russia e Cina nella crisi economica. Intervista a Maurizio Simoncelli, vicepresidente Istituto di ricerche internazionali “Archivio Disarmo”
Leopard

Nel nuovo piano di riforme presentato il 9 luglio da Tsipras all’Eurogruppo, compaiono tagli alla difesa per 300 milioni di euro entro la fine del 2016, nel quadro complessivo di 12 miliardi di euro che comprendono, tra l’altro, privatizzazione di aeroporti e porti oltre all’aumento della tassa sul lusso.

In prossimità del voto del referendum, anche la nuova edizione del quotidiano Unità, espressione del partito democratico italiano, titolava Grecia tasche vuote, arsenali pieni evidenziando la scelta del governo greco di non tagliare le spese militari. Per capire meglio la situazione geopolitica rivolgiamo alcune domande al professor Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di studi internazionali “Archivio Disarmo”.

 

Quali ostacoli impediscono di ridurre le spese degli armamenti in Grecia?

«La Grecia, come è noto, è un paese membro della NATO, ma ha rapporti non proprio amichevoli con la Turchia, altro membro NATO, per via della pluridecennale questione cipriota. Inoltre, analogamente all'Italia, anch'essa è protesa verso il centro del Mediterraneo.

 

«Le sue spese per la difesa hanno sempre avuto sul Pil un peso percentuale maggiore rispetto ad altri paesi europei della Nato: già nel lontano 1983 esse pesavano per il 5,3 per cento, rispetto al 3,9 per cento della Francia. In tempi più recenti sono passate al 3,3 per cento nel 2009, per scendere al 2,2 per cento (stimato) dello scorso anno, cifra identica a quella della Francia e della Gran Bretagna (due superpotenze nucleari), nonché a quella della Turchia. La cifra in termini assoluti (5,5 miliardi di euro) è un decimo di quella di Parigi e Londra, ma pesa significativamente su un bilancio statale stremato.

 

«È interessante rilevare che, finora, dalle trattative condotte in segreto dalla troika europea con Atene, non sembra essere mai emersa un’indicazione tesa al taglio radicale di tali spese. Di fatto sono già la metà di quelle del 2009, ma l’economia greca è, come noto, a pezzi. Comunque le forniture di armi sono un business interessante anche per gli alleati, anche i più critici nei confronti di Atene: Berlino, tra l’altro, ha venduto ad Atene 3 sottomarini tipo 2014 Katsonis, nonché 170 carri armati Leopard-2A6. Altri fornitori sono la Francia, l’Olanda, gli USA, la Gran Bretagna e anche l’Italia».

 

È ipotizzabile un intervento di sostegno di capitali cinesi e russi in vista di un nuovo disegno geopolitico?

«Il governo di Atene ha più volte riaffermato la sua fedeltà alla NATO e il suo interesse a rimanere all’interno della UE, ma certamente un indebolimento di esse potrebbe far comodo sia a Mosca sia a Pechino. La Russia ha tutto da guadagnare con un’Europa ulteriormente frammentata (già non ha fatto una bella figura in occasione della crisi ucraina) e sarebbe interessata a ricambiare l’erosione geopolitica che l'Occidente ha condotto verso Mosca, erosione simbolicamente oggi rappresentata da Kiev.

 

«Per la Cina l’interesse potrebbe essere prevalentemente economico, data anche l'importanza della Grecia nel settore marittimo. Di qui ad immaginare realisticamente l’afflusso massiccio di capitali da Mosca o da Pechino ce ne corre: anche il Cremlino si trova in difficoltà economiche, mentre la Cina sta vivendo un rallentamento del suo sviluppo economico e già si parla di bolla cinese.

 

«Certamente stiamo vivendo una fase particolarmente critica del multipolarismo (detto da alcuni geopolitica del caos), succeduto al bipolarismo che ha dominato il nostro mondo per quasi mezzo secolo. L'esperienza politica dell’UE avrebbe dovuto costituire un punto fermo e di riferimento in tutto questo, ma a tutt’oggi è evidente il permanere di forti nazionalismi e di forme xenofobiche preoccupanti».

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