L’Aula

Devono essere ben originali queste aule universitarie se i primi che le hanno abbandonate per aver completato gli studi ne sentono una così forte nostalgia. I primi cinquanta studenti che cinque anni fa diedero inizio all’Istituto superiore di cultura (Isc), terminati i corsi, si sono rivolti ai 180 che iniziano il nuovo anno inondandoli di messaggi ed e-mail. Andrea Ghidini, pedagogista, non nasconde la sua nostalgia e che gli piacerebbe un sacco rivedere colleghi e professori. Sento ugualmente – continua – di essere lì con voi a scuola dell’Unico Maestro, nella nostra Aula. Massimiliano Marianelli, ormai assistente universitario, assicura il suo impegno ad essere fedele al nostro stile di vita e, pur non potendo essere fisicamente, a rimanere nell’Aula che abbiamo edificato e continuiamo ad edificare insieme. Circostanze varie impediscono anche ad alcuni alunni ancora in corso di poter partecipare al nuovo anno accademico. Così Monica Morovic, dall’Austria, che in questi giorni deve affrontare l’esame finale all’università. Anche lei assicura il suo impegno di vivere con voi nell’Aula, realmente, anche se a distanza. Maya dalla Slovacchia non sarà presente perché, sposata da poco più di un anno, aspetta ormai il suo primo bambino, che nascerà a giorni: Questo sarebbe stato il mio quarto anno di vita e di studio con voi. Non potrò essere presente, ma sarò lì, nell’Aula. Violinista, augura a tutti di poter orchestrare assieme un’unica melodia composta dai toni più belli e armonici. Chissà perché tanta nostalgia quando, in fondo i corsi, benché intensissimi, hanno la durata di quindici giorni soltanto, d’estate. No – risponde con decisione Marco Luppi di Cagliari -. La nostra Aula vive tutto l’anno. Assieme agli altri ex si considera del quinto corso. Noto che non parlano mai di aule, ma di Aula, con la A grande, quasi vivessero tutti in una medesima realtà che trascende spazio e tempo. È un’Aula, mi conferma Marco, che grazie al rapporto costruito in questi anni, va al di là dei luoghi fisici, ma si sostanzia delle scelte e della vita di ciascuno. Proprio questo fatto mi fa dire che anche tutti noi laureati saremo sempre all’Isc, grazie a quella condivisione che ci ha portato a mettere in comune tutto in questi anni. Cos’è che rimane, gli chiedo ancora, di questi anni di studio all’Isc, che nel frattempo ha preso il nome di Sophia? Quest’espe- rienza ha cambiato in modo cruciale la mia vita. Il bagaglio costruito lo porto stampato nel cuore, nei miei studi che continuano (sono a metà strada col dottorato). Ma soprattutto la vita dell’Aula è stata decisiva per la mia scelta di vita: mi ha aiutato a non accontentarmi, ma a puntare sempre oltre. Giunta alla sua quinta edizione, possiamo valutare l’esperienza che ogni estate si rinnova ad Ottmaring, in Germania, cogliendone i primi frutti. Cristina Soraci, insegna come ricercatrice di Storia romana presso l’Università degli studi di Catania. Ha iniziato a frequentare l’Isc mentre scriveva la tesi di laurea. Mentre la redigevo mi ponevo di fronte un obiettivo, che gli insegnanti dell’Isc ci avevano più volte indicato come modo per dialogare con l’oggetto del nostro studio: il rispetto della fonte o dello studioso che stavo citando. Per me significava cercare di entrare nel pensiero dell’autore, senza forzarlo, senza estrapolarlo dal suo contesto storico e culturale. Il profondo rapporto instaurato tra i professori e noi alunni mi è poi servito come esempio cui rifarmi adesso che insegno alla università: per quanto è possibile, cerco di ricreare in aula quel clima di reciproca fiducia, di disponibilità e di stimolo al dialogo, che, come mi scrive un mio allievo, è fondamentale per l’apprendimento. Emanuele Casarotti, geofisico romano, lavora in questi mesi in California. Scrive: Cominciamo dal fatto che l’Isc non ha influito direttamente sul mio lavoro, nel senso che non ho scritto articoli traendo ispirazione dai contenuti delle lezioni dell’Isc. Ma nella mia vita di lavoratore l’Isc influisce, eccome. Un esempio: sono ancora qua a fare il fisico, dietro un computer a simulare terremoti. Questo non è così scontato. L’Isc mi ha fatto innamorare in maniera sempre rinnovata del mio campo di studio, facendomi superare tanti dubbi sul mestiere del ricercatore. Ha dato insomma un senso più profondo a questo mio essere alla ricerca. Un secondo esempio è dato dalla passione che l’Isc mi ha fatto nascere nel cuore e nel cervello per la ricerca delle relazioni tra i fenomeni. Se si guarda la mia produzione scientifica si nota proprio questo: l’uso della scienza per cercare di capire se e come dei particolari eventi geofisici, che avvengono a distanza tale da non poter essere correlati, siano legati tra loro. Ma i primi frutti dell’Isc si possono cogliere anche tra quanti lo frequentano ancora. Aspetto ad esempio gli studenti del terzo anno all’uscita dall’aula. Sono 35, provenienti da tutti e cinque i continenti. Hanno appena terminato di seguire le lezioni di economia tenute da Luigino Bruni, sull’infinito matematico con la statunitense Judith Povilus, sulla lettura sociologica del cambiamento sociale e della modernità con il belga Bennie Callebaut. Materie apparentemente disparate. Il dialogo tra studenti e professori ha invece mostrato le loro convergenze. L’interdisciplinarietà è una sfida prima di tutto per i professori dell’Isc, che insieme agli studenti si propongono di superare la frammentazione del sapere, per una nuova sintesi, ispirata dalla cultura dell’unità. Gli studenti già si avvalgono di questo metodo. Per Filipe Barreto (studia filosofia a Recife, in Brasile) il paradigma relazionale (la relazione costituisce l’essere umano), assieme al concetto di alterità (l’altro non è oggetto ma soggetto), è diventato un fattore centrale nella sua ricerca, al punto che è riuscito a coinvolgere altri studenti e professori. Ne è nato un gruppo di studio interdisciplinare. Un’esperienza simile è quella di Andrea Virdis di Cagliari, altro studente di filosofia. L’inizio della sua partecipazione all’Isc è coinciso con l’inizio del dottorato in bioetica. Il fattore interdisciplinarietà è stato fondamentale perché nel mio lavoro convergono varie discipline come medicina, filosofia, bio-diritto. Non sempre è facile cogliere questi ambiti in maniera unitaria, anche perché abitualmente nell’università le discipline sono separate tra di loro. Ma ho colto la sfida. Ed ecco lo scambio con altri colleghi di ambiti diversi. Sandro Rojas Badilla lavora invece in tutt’altro campo, nella più grande agenzia pubblicitaria del Costarica. Lo scorso anno, di ritorno dall’Isc, ha raccontato alla sua direttrice quanto aveva vissuto. Pochi mesi fa, l’assemblea mensile di tutti gli operatori viene convocata. La presidente annuncia che il tema sarà svolto da Sandro: l’Isc Sophia. Sono stato colto di sorpresa. Ho subito raccontato della internazionalità dei partecipanti, dell’alto numero di discipline rappresentate, del metodo di studio e di vita. Nel dibattito che ne è seguito, tante delle cose che avevo detto risultavano adattissime per il nostro lavoro che esige creatività, intuito, capacità di lettura delle tendenze. Conclusione: quest’anno sono venuto all’Isc come inviato speciale da parte dell’azienda, che mi aspetta per conoscere nuove idee e nuove esperienze. Passo al quarto anno. I 36 studenti provengono da 14 paesi d’Europa. Hanno appena concluso un vivace scambio sul dialogo interreligioso con Giuseppe Maria Zanghì, direttore della rivista culturale Nuova Umanità, insieme con Slipper Callan, anglicano esperto di buddhismo, e Paul Lemarié, studioso di islamologia. Il buddhismo, l’induismo, l’Islam interessano anche una critica letteraria come Katharina Wild? Mi guarda sorpresa, tanto le appare ovvia la risposta positiva. Sposata da due anni, sta svolgendo un dottorato a Francoforte. Da tempo collabora con alcune riviste su cui pubblica recensioni e critiche teatrali e cinematografi- che. L’esperienza dell’Isc mi sta dando una nuova sensibilità nello studio e nella critica dei testi e delle opere teatrali. In precedenza, quando in uno spettacolo qualcosa mi disturbava, mi annoiava o mi dava fastidio, ero tagliente nei giudizi. Ora ha imparato a immergermi totalmente nel pensiero dell’autore e del regista. Questo non significa che accetto tutto. Al contrario, ora sento di esprimere meglio il mio pensiero e di manifestarlo con chiarezza, ma senza mettermi in opposizione con l’altro. Cerco piuttosto di mettere in rilievo il positivo che sempre vi colgo. Andrea Paganini da due anni è responsabile della redazione di una rivista di cultura. Date le forti aspettative dei gruppi d’interesse che vi ruotano attorno, sapeva che il lavoro non sarebbe stato facile; ma, con la sensibilità maturata anche grazie all’Isc, ha cercato di impostarlo su una opzione del dialogo. La pubblicazione è diventata sempre più una piattaforma di apertura e di incontro fra ambiti culturali diversi: un dialogo a tutto tondo, tra gli autori dei contributi, l’editore, il consiglio scientifico, la tipografia e i lettori. Un lavoro paziente, attento e dispendioso, per prendere sul serio gli autori e i lettori, per dare spazio a punti di vista differenti, per scusarsi per gli sbagli commessi, ma anche per mantenere una trasparenza e non prestarsi agli interessi o alle pressioni dei più forti. Petra Reisman, della Slovenia, è insegnante di lettere in un liceo a Lubiana. Negli ultimi mesi è riuscita a coinvolgere alcuni insegnanti e docenti universitari nella preparazione di un concorso presso il ministero della Scuola e dello sport. In Slovenia la scuola è ancora monolitica – spiega -; per questo il governo è alla ricerca di nuovi programmi di modello sperimentale. È così che abbiamo potuto presentare un progetto per la prima classe della scuola elementare chiamato convivenza e sviluppo. Esso si basa sul principio di una pedagogia di comunione. Il progetto è stato approvato e questo autunno inizierà il primo ciclo di formazione degli insegnanti che dovranno attuare questo modello sperimentale. Anche quest’anno l’Isc ha continuato a seminare, nella certezza che l’operazione culturale avviata cinque anni fa è un autentico investimento in umanità. SOPHIA, CIOÈ È una sorta di antipasto di una futura università, l’Isc Sophia, una scuola estiva che riunisce ogni anno 200 studenti dei cinque continenti divisi in quattro corsi. I professori sono una trentina, e rappresentano una ventina di discipline diverse. Dalla matematica alla teologia, dalla filosofia al diritto, all’ecologia… L’interdisciplinarietà è una delle caratteristiche della scuola, basata sulla ritrovata armonia tra sapere e vita. Professori e studenti convivono per due settimane confrontandosi, ascoltandosi, cercando di evitare di creare un muro invalicabile tra docenti e studenti. Da tre anni la sede dell’Isc è in Baviera, nella cittadella di vita ecumenica dei Focolari.

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