“Lassù mi sento libero”

“La passione per il volo me l’ha trasmessa mio padre, un pioniere del deltaplano in Italia, negli anni Settanta. Da allora quella passione è mia e non mi ha mai lasciato”. A Christian brillano gli occhi come allora, quando, bambino, passava i week-end ad ammirare le evoluzioni del padre sulle pendici del Cornetto, sopra casa sua, a Folgaria nel Trentino. “Mio padre però non mi faceva mai volare – ricorda -. Ripeteva sempre: “Devi crescere, maturare”. Era autodidatta e non sentiva di caricarsi della responsabilità di insegnarmi. Ma io sognavo di volare come lui: volevo fare l’astronauta, o il pilota d’aereo. A 17 anni presi la decisione di frequentare la scuola di deltaplano e feci il primo volo”. Oggi Christian Ciech ha una laurea in ingegneria aerospaziale che mette a frutto a Icaro 2000, un’azienda leader nella sperimentazione e nella costruzione di deltaplani. Tra allenamenti e collaudi non c’è giorno in cui non si lanci nel cielo. L’evoluzione dei materiali, le conoscenze tecniche, l’uso del paracadute hanno ridotto quasi a zero i rischi del volo libero. Ma basta tutto questo a vincere la paura? “Ci accompagna sempre – spiega -: è la paura che non ci fa sottovalutare i problemi che questo sport implica e a non infilarci in situazioni troppo pericolose. Nel ’97, durante una gara, ho voluto eccedere nelle performance del mezzo: mi sono trovato in picchiata e l’ala si è capovolta. Mi sono salvato grazie al paracadute di emergenza, ma è una lezione che non dimentico: sapevo che oltre un certo margine c’era il rischio, ma averlo sperimentato è stata una cosa molto forte”. Dedalo, Icaro, leggendarie figure che testimoniano il sogno atavico dell’uomo di poter volare. In realtà solo il genio di Francis Rogallo, ingegnere italoamericano, agli inizi degli anni Cinquanta, seppe introdurre la prima velatura leggera capace di librarsi nell’aria, aprendo l’era dei deltaplani e dei parapendii. “Sono consapevole di avere la possibilità di fare ciò che altri hanno solo sognato – ammette Christian -. La sensazione più bella si prova volando sopra le nuvole: accade raramente perché le nubi, non tutte, sono il culmine del- la corrente ascensionale, ossia la fonte della energia di cui abbiamo bisogno per salire verso l’alto. Per questo è difficile salirvi sopra, ma se ci riesci è bellissimo: ti dà la sensazione di avere vicino qualcosa di solido, quasi un punto d’appoggio. Non è così, ma con la nube a fianco percepisci la profondità, capisci di essere realmente in volo e di essere staccato da terra”. In cielo hai fatto incontri strani? “Una volta ho volato con un aquila: era sotto di me e sfruttava la mia stessa corrente ascensionale. Ma lei saliva più rapidamente e mi si è avvicinata fino ad un paio di metri, proprio sotto l’ala del deltaplano. Temevo di dovermi difendere da un suo attacco, ma dopo avermi scrutato a lungo se n’è andata mostrandomi prima gli artigli”. Predatori a parte, definiresti il tuo uno sport pericoloso? “È uno sport difficile: per volare occorre una passione molto più forte che per sciare o andare in bici, dove, se si mette male, puoi scendere e continuare a piedi. L’unico sport che si avvicina a quelli dell’aria è l’alpinismo estremo. Quando sei in volo non ti può aiutare nessuno: devi pilotare il mezzo fino in fondo e farlo in maniera appropriata. Ci sono momenti in cui ti senti veramente solo, dove impari progressivamente ad affrontare le tue paure e a rispettarle, in una scoperta di sé stessi sempre più profonda, più libera, senza interferenze. Si impara ad ascoltarsi, a sentire quello che veramente si vuole. È una grande crescita personale, di carattere. E gusti anche la natura in una prospettiva diversa da quella che hai da terra”. Che cosa rappresenta il momento dell’atterraggio? “Nell’ambiente del volo libero si dice: “È meglio essere a terra col desiderio di essere in volo, che essere in volo col desiderio di essere a terra”. Significa decidere di non esporsi a situazioni di grande rischio, specie con condizioni meteo avverse. All’inizio, in atterraggio, avevo veramente paura. È stato un volo fatto con mio padre a farmi fare un piccolo salto di qualità. Ho visto atterrare lui subito prima di me: l’ho seguito con grande fiducia e da quel momento per me è stato tutto più sereno. Poi, un giorno, dopo due anni di voli assieme, mi disse: “Due piloti in famiglia sono troppi!” e smise per sempre”.

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