«Lasciare il proprio Paese non deve essere un obbligo»

La Cei sostiene la campagna giubilare dal titolo "Il diritto di rimanere nella propria terra", grazie anche alla promozione di microprogetti di sviluppo, a cui chiunque può contribuire. In questo modo si contrasta anche il land grabbing, il cosiddetto "furto di terre"
Agricoltura in Africa

«È nel ricevere pari opportunità di mezzi per l’istruzione, il lavoro, la sanità, il diritto alla casa e al movimento (dentro e fuori il proprio Paese d’origine), che si concretizza per ognuno di noi la libera scelta dell’avvenire». Eppure, nel Sud del mondo, la chance del futuro è spesso negata a milioni di persone; alle quali si presenta una sola scelta obbligata: quella di partire. Di affrontare viaggi ad alto rischio e approdi insicuri per rincorrere una speranza.

 

Da qui prende le mosse la Campagna Cei “Il diritto di rimanere nelle propria terra, promossa dalla Fondazione Missio, da Caritas Italiana e Focsiv. A parlarne con noi è Francesco Carloni, responsabile dell'ufficio Micro Progetti di sviluppo di Caritas Italiana, e uno dei promotori dell’iniziativa. «Dal lancio di questa Campagna Giubilare ad oggi – spiega – decine di diocesi hanno aderito alla proposta, sia tramite raccolte fondi che con la partecipazione concreta all’ideazione di piccoli progetti di cooperazione allo sviluppo nei Paesi di origine dei migranti».

 

La particolarità di questa proposta della Cei, è che si costruisce a poco a poco grazie alla partecipazione di tutti: si individuano i bisogni delle comunità locali in Africa, come in Medio Oriente o in Asia, grazie al feedback diretto dei beneficiari; si valuta la fattibilità del progetto e si decide di dare vita ad un piccolo sogno. Così nasceranno atelier di ricamo in Senegal, laboratori di falegnameria o informatica in Burkina, allevamenti e stagni per la pescicoltura in Mali, stazioni radiofoniche in Mozambico.

 

Ma perché quest’iniziativa non va assolutamente confusa con chi propugna lo slogan “aiutiamoli a casa loro”? «Anzitutto – spiega Carloni – perché non si tratta di raccogliere soldi, o fare la carità in senso tradizionale, ma di portare avanti azioni concrete (mille microrealizzazioni), in accordo con i nostri missionari, fidei donum, cooperanti e laici in missione, in uno dei paesi di origine dei migranti». In seconda battuta perché questa campagna vuole informare anche chi vive dall’altra parte del mondo e assiste alla quotidiana lotta per la sopravvivenza di milioni di persone.

 

«Non solo la campagna contribuisce a creare condizioni di vita più accettabili – precisa Carloni – ma aiuta le nostre comunità italiane ad approfondire e comprendere le motivazioni, spesso complesse, che costringono milioni di persone a lasciare la terra d’origine». Problemi la cui soluzione sarebbe, se non possibile almeno affrontabile, se si applicassero percorsi di cooperazione oltre l’emergenza.

 

L’uso produttivo della terra e il giusto impiego dei mezzi per coltivarla hanno a che vedere anche con un altro fenomeno diffuso in tutta l’Africa: il furto di terre o land grabbing. E questa Campagna della Cei indirettamente lo contrasta. Caritas e Fondazione Missio, ad esempio, hanno incontrato una suora comboniana che da anni svolge la sua missione in Mozambico; ora è nel Nord Est del paese, nell’Arcidiocesi di Mampula.

 

L'esperienza, racconta suor Rita, «ci ha dimostrato che si può davvero, tramite un lavoro meticoloso di formazione di base nelle comunità, realizzare una “resistenza alternativa” di fronte alla continua minaccia e violazione dei diritti umani da parte delle imprese che hanno come obiettivo il proprio profitto».

 

Suor Rita, dentro la commissione Giustizia e pace della diocesi, è al fianco delle comunità locali nel difendere il diritto di abitare la propria terra e presenterà un proprio progetto: «in Mozambico – dice – l’accaparramento di terre fertili da parte delle multinazionali dell’industria alimentare e dell’estrazione mineraria costringe i piccoli agricoltori locali ad abbandonare la terra, provocando loro un’enorme sofferenza».

 

Anche il direttore di Missio, don Michele Autuoro, ci ha spiegato che «molte persone non avrebbero alcuna intenzione di lasciare le loro case, gli affetti, la propria cultura, ma sono costretti a farlo nella speranza di una vita migliore. Noi con la nostra Campagna non pretendiamo affatto di fermare gli esodi, perché ognuno ha il diritto di scegliere cosa vuole fare e la Chiesa italiana è impegnata appieno sul piano dell’accoglienza. Vogliamo però aiutare la persona a 360 gradi, sia che resti nella sua terra, sia che bussi alla nostra porta se costretta a partire».

 (Per saperne di più visita il sito della Caritas)

 

 

 

 

 

 

 

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