L’altra America

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Ha avuto un forte valore simbolico il recente congresso internazionale tenuto a Port-au-Prince, capitale di Haiti, e dedicato a “Politica ed economia: le vie della fraternità”. Organizzato dall’arcidiocesi di Port-au-Prince, in collaborazione con la Pontificia Università Gregoriana, la Columbia University di New York, l’Università Notre- Dâme di Haiti, il congresso si è incentrato sull’ideale di fraternità proposto dal Movimento per l’unità di Chiara Lubich. Haiti è la patria della prima repubblica nera sorta pochi anni dopo la Rivoluzione francese e in applicazione dei suoi ideali di libertà, uguaglianza, fraternità. Ideali in gran parte traditi, come testimonia la drammatica situazione odierna di Haiti. E proprio per rilanciare lo sviluppo e per introdurre una nuova concezione della politica, la chiesa haitiana ha preso l’iniziativa di ripartire dalla fraternità del Movimento dell’unità. Il prof. Pharel, nel contesto del congresso, ha presentato alcune proposte per avviare la soluzione dei problemi politico-economici, alla luce della fraternità. Prof. Pharel, nell’America latina si osserva un sentimento ambivalente nei confronti della democrazia: a che co- sa è dovuto? “L’America latina e i Caraibi sono stati caratterizzati, per un certo tempo, da dittature che hanno lasciato un segno profondo. Si cerca di costruire la democrazia, ma allo stesso tempo, ancora oggi, la si mette in questione. Lo ha rivelato anche una recente inchiesta realizzata dalla “Banca interamericana per lo sviluppo”: molti dubitano della democrazia, nella misura in cui, prima diottenerla, pensavano che essa avrebbe permesso di avere una maggiore ricchezza, di essere come il Nord. Oggi si comincia a comprendere che la democrazia richiede un lungo processo, non arriva dall’oggi al domani, e che la stabilità di cui gode il Nord è frutto di una lunga storia. “In America latina e nei Caraibi non è facile; certo, si è più liberi, si può votare, ma non è certo semplice trovare un impiego, soprattutto dopo le riforme economiche – legate al libero mercato – che hanno accompagnano la svolta democratica. Ecco allora che si può trovare gente che si chiede: stiamo meglio oggi rispetto al periodo della dittatura? Si attendevano tanto dalla democrazia, e invece la loro situazione non è migliorata. “Questa disillusione riguarda – salve rare eccezioni – l’intera regione latinoamericana. Ciò che è importante far comprendere, è che il ritorno alle dittature non potrà risolvere i problemi. Le antiche democrazie europee ci danno un sostegno, dicendo: attenti, non è facile, ci siamo passati anche noi, anche noi abbiamo sofferto”. Lei ritiene dunque che agisca, in senso negativo, un limite culturale? “Certamente. Nella cultura politica latinoamericana c’è un fortissimo populismo: i politici dicono agli elettori quello che vogliono sentirsi dire, per ottenere il loro voto ma, quando arrivano al potere, non riescono naturalmente a realizzare quanto avevano promesso; il ripetersi di questo meccanismo spiega la disillusione e lo sconforto di oggi. “Bisogna invece dare ai cittadini la capacità di comprendere come votare, di valutare il candidato che fa promesse allettanti ma irrealizzabili, di partecipare alle decisioni. In questo senso, la rete di scuole di formazione sociale politica che la chiesa, in collaborazione col Movimento dell’unità, ha lanciato ad Haiti, è un esempio da moltiplicare, e che potrà avere un ruolo determinante”. L’idea di fraternità può giocare un ruolo anche nelle politiche economiche? “Il nuovo concetto di fraternità che il Movimento dell’unità sta lanciando in America latina e nei Caraibi è importante per far comprendere alle élites di questi paesi che bisogna dare un supporto ai meno agiati. “La tradizione colonialista e imperialista che abbiamo conosciuto con le vecchie colonie, in qualche maniera perdura. Quelli che hanno fatto le rivoluzioni hanno spesso lasciato in piedi le vecchie strutture, oppure le hanno rifatte in modo molto simile. Per questo il reddito pro capite è così basso in America latina: è il subcontinente che, a livello planetario, ha la peggiore distribuzione del reddito: aumenta la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri. “Ecco l’importanza della fraternità, che io applicherei, prima di tutto, alla costruzione di reti che mettano a disposizione del maggior numero di persone possibile le nuove tec- nologie dell’informazione e della comunicazione. Se noi vogliamo rinforzare una catena, bisogna che tutti i suoi anelli siano forti. Ad esempio, se ad Haiti non ci sono telefoni cellulari, ed io ne possiedo uno, non posso utilizzarlo, a meno che non aiuti gli altri ad ottenerlo. Fraternità significa che tu devi rafforzare l’altro, perché anche tu possa diventare più forte. Se vuoi guadagnare del denaro, devi permettere all’altro di fare altrettanto. “Il capitalismo stesso si sta trasformando; guardiamo, ad esempio, a molte imprese statunitensi e all’uso di stock options, che permettono agli impiegati di partecipare agli utili dell’azienda: in questo modo le aziende si rafforzano, conservano a lungo i propri impiegati e la situazione generale migliora. Sono concetti che ancora non hanno fatto il loro ingresso nel Sud, dove spesso abbiamo imprese di carattere famigliare, dove una famiglia domina e agli impiegati non tocca niente, i salari sono miserabili. È difficile avere la democrazia, perché essa non sta soltanto a livello politico, ma c’è bisogno di una democrazia al livello del lavoro, di una partecipazione ai benefici”. L’impressione, dall’esterno, è che gran parte del sub-continente sia caduto in un circolo vizioso. Che cosa ne pensa? “Finché perdura l’instabilità politica, non avremo investimenti; ma senza investimenti non avremo posti di lavoro e non usciremo dalla povertà, la quale favorisce l’instabilità politica. Abbiamo però degli esempi positivi, nei quali il circolo vizioso è stato trasformato in virtuoso: quello della Repubblica Dominicana, dove la chiesa cattolica è riuscita più volte a riunire intorno ad un tavolo sia i politici sia le forze economiche e sociali, sbloccando le situazioni conflittuali e garantendo una stabilità politica che ha portato ad uno dei tassi di sviluppo più elevati del mondo. Questa esperienza della Repubblica Dominicana è l’esatto contrario di quella che si vive nell’altra metà dell’isola di Santo Domingo, nella Repubblica di Haiti, dove l’instabilità politica ha paralizzato lo sviluppo; è un paradosso che fa parlare di una “isola alla rovescia”. “Possiamo portare questo esempio a livello dell’America latina, dove troviamo dei paesi che vivono i due casi opposti. Ecco allora il Costa Rica, dove il grande investimento nell’educazione realizzato negli anni Sessanta ha favorito lo spirito democratico e, di conseguenza, lo sviluppo. Ed ecco invece, in negativo, l’Argentina, o il Venezuela di Chavez, paesi dove la tendenza populista è molto forte”. Come valuta gli interventi promossi in America latina e nei Caraibi dalle grandi istituzioni economiche internazionali, quali il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio? “A partire dal “Washington Consensus” sono state lanciate delle idee imperniante intorno alla liberalizzazione dei mercati finanziari e economici; tutti pensavano di diventare come gli Stati Uniti, ma i risultati dimostrano un sostanziale fallimento. Si è messo in movimento un sistema senza che le persone avessero l’educazione e i mezzi per adottarlo. L’er- rore fondamentale, a mio avviso, è stato di concentrarsi sugli aspetti economici e finanziari del problema, senza guardare alla persona, all’aspetto spirituale del fenomeno, perché la persona non si ritrova in queste riforme: è la ragione per cui, oggi, si parla di “riformare le riforme” degli anni Ottanta. “Nel corso dell’assemblea annuale della “Banca interamericana per lo sviluppo”, nel marzo scorso, ci siamo chiesti: dopo dieci anni, che cosa ci hanno dato queste riforme? Certo, a livello macro-economico c’è una certa stabilità, il tasso di inflazione si è abbassato e il nostro potere di acquisto si è un po’ rinforzato: ma che cosa se ne fa una persona che non ha soldi per acquistare? Le domande da porsi, oggi, alla luce della fraternità, sono: come creare dei posti di lavoro? Come trasferire le conoscenze, il “saper fare”, in modo che le persone acquisiscano la capacità di lavorare e guadagnare del denaro?”. Quello economico non è l’unico problema… “Vero: si è messo l’accento sull’aspetto delle riforme economiche, abbandonando quello delle riforme giudiziarie. Siamo ancora alle prese, in effetti, con le conseguenze della colonizzazione e delle dittature, per la cui mentalità la giustizia non è una cosa davvero importante; la giustizia, anzi, è in funzione degli uomini che controllano il potere; la gente ne soffre tanto quanto soffre della situazione economica, e le due cose sono legate, perché è difficile anche solo parlare di sviluppo capitalistico, se il potere per primo non rispetta i diritti di proprietà. “Dunque, nel grande incontro di Monterrey si è parlato anche di questo: d’accordo sull’importanza dell’economia, ma ci sono altre cose: la persona, l’aspetto spirituale, la giustizia. Compito dell’imprenditoria è quello di dare alle persone la capacità di prendere una decisione per migliorare la propria vita. Ora, nei paesi dell’America latina e dei Caraibi, dove il paternalismo e il senso gerarchico sono fortissimi, la democrazia richiede che si faccia partecipare gli altri al potere. E non è così facile, perché sappiamo che l’aspetto culturale è quello richiede molto più tempo degli altri per cambiare. L’America latina ha ancora molto da fare per arrivare a vivere realmente in maniera democratica”. Da dove cominciare? “Un concetto che sto sviluppando molto è quello di “capitale sociale”. Se lei parla con gli imprenditori privati, qui ad Haiti ma anche nel resto dell’America latina, le dicono che loro pagano le tasse e che è il governo che deve pensare al resto. Ma i governi di questa area, a causa delle politiche volute dal Fondo monetario internazionale, hanno pochissimo denaro da impiegare nelle politiche sociali. Qui da noi gli imprenditori privati hanno una pessima immagine: la gente pensa che badano soltanto a fare profitti, che poi spendono in divertimenti negli Stati Uniti, e si disinteressano dei mali della società. Io credo invece che le élites economiche possano giocare un altro ruolo, compiendo degli investimenti sociali responsabili: nell’educazione, nella sanità, nelle abitazioni, nell’ambiente, creando dei fondi etici e migliorando, così, la loro immagine. “Il capitalismo “puro e duro”, il liberismo, non possono riuscire ad Haiti e nei paesi simili, perché non ne abbiamo i mezzi, soprattutto a livello di educazione, di potere d’acquisto, di accumulazione del capitale. Dunque ci dev’essere una condivisione delle informazioni, dei saperi e dei capitali. Questo non ha niente a che vedere col comunismo, ma ha molto a che vedere con la fraternità: se volete che la gente compri i vostri prodotti – ma la gente non ha i soldi per farlo – bisogna che, per far partire il meccanismo, diate, in modo intelligente, una parte del vostro denaro agli altri. “Anche la società civile può fare molto per vivere la fraternità. Con il gruppo “Croissance”, qui ad haiti, abbiamo creato il concetto di “alfanetizzazione”, che va oltre l’alfabetizzazione. Il “net” sta per “internet”: è l’impegno di creare una rete in tutto il paese per favorire la distribuzione delle informazioni, per diminuire il fossato che esiste tra ricchi e poveri perché, se nel periodo industriale questo fossato era profondo, nel periodo “digitale” lo diventa ancora di più. È una iniziativa che può incontrarsi e collaborare con la rete di scuole di formazione politica lanciate dalla chiesa col Movimento dell’unità “.

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