Laboratorio di fraternità in Regione

Consiglieri di differenti aree politiche in dialogo per definire percorsi comuni e soluzioni costruttive per il bene della comunità
Una veduta di Torino

Un esperimento – è stato definito così dai protagonisti – quello che ha preso il via in modo continuativo al Consiglio regionale del Piemonte, il cui presidente ha convocato nella mattina di lunedì 13 febbraio consiglieri e assessori regionali per il secondo di una serie di momenti di riflessione «per approfondire e dibattere il concetto di fraternità in politica e nelle istituzioni», in collaborazione con il gruppo locale del Movimento politico per l’unità, espressione del Movimento dei focolari.

«Un esperimento da proseguire», questo il pensiero espresso unanimemente dai consiglieri presenti, esponenti di partiti diversi sia all’interno della maggioranza, sia dell’opposizione, a partire dai consiglieri regionali del partito del governatore Cota per arrivare al capogruppo del maggior partito di opposizione.

È questo il risultato della discesa negli ultimi mesi del livello di litigiosità dei partiti? Non esattamente. È un appuntamento edificante per i presenti, al massimo utile momentaneamente a stemperare un po’ la tensione politica? Nemmeno. «Qui si vuole avere il coraggio di scardinare una vecchia politica e costruirne una nuova», così uno dei giovani presenti.

La riflessione teorica è stata affidata a Daniela Ropelato, docente di Scienza politica all’Istituto universitario Sophia nei pressi di Firenze. Nell’appuntamento inaugurale in novembre aveva dato un inquadramento dell’idea forza della fraternità in politica. Questa volta il passaggio successivo: come tradurre questa idea della fraternità nel concreto dell’agire politico, nel quale conflitto e competizione sono elementi fondamentali?

È un fatto: consiglieri regionali di differenti appartenenze politiche, in una delle stanze del potere e alla presenza di cittadini, si ingaggiano in un’esperienza di dialogo che è ciò che essenzialmente costituisce questi appuntamenti, a loro volta preceduti e seguiti dall’esercizio del dialogo nel proprio agire politico. «Il capogruppo della maggiore forza di opposizione mette spesso in pratica la fraternità nell’assemblea», è la pubblica sottolineatura di uno dei consiglieri del principale partito di maggioranza. E il cronista sorpreso chiede e trova conferma dell’autenticità di quanto ascoltato.

Il dialogo come arte, però, non come improvvisazione: si dialoga con tutti; si dialoga per primi, andando incontro all’altro; si dialoga guardando all’altro come a un altro sé stesso, portando i propri valori – universali –, scegliendo non tanto il relativismo ma la strada stretta tra identità e mediazione.

Non mancano da parte dei consiglieri di entrambi gli schieramenti la denuncia della fatica con cui oggi si dialoga. «A noi, come maggior forza di opposizione, viene chiesto sangue e non proposte concrete. La politica deve ricominciare a riflettere su come il naturale non è l’individuale ma la dimensione comunitaria». Sì, perché è uno schema equivoco quello che afferma che il naturale è l’individuo; infatti il sociale è presente nel Dna umano e come tale non è solo il risultato ma viene anche prima. E la differenza, per un pensiero dialogico, è ricchezza.

Successivamente alla riflessione, alle testimonianze e alla denuncia, si è passati alle proposte: perché non invitare gli studenti della scuola di giornalismo a conoscere in diretta il lavoro politico dei rappresentanti, per apprendere a trasmettere non solo il profilo sterile dello scontro politico – pesante semplificazione che attraversa la comunicazione –, ma anche quello dell’impegno e della ricerca di soluzioni costruttive? Si pensa persino a una proposta di legge sull’informazione, sull’esempio di altri Paesi europei, in cui si stabilisce uno spazio adeguato per la cronaca bianca.  Sarà la comunicazione politica il cuore del prossimo appuntamento, perché oggi le ore a disposizione sono volate via.

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