La trasparenza che combatte il lavoro nero

Senza clamore continuano ad emergere nuovi casi eclatanti di violazione dei diritti dei braccianti agricoli. Stranieri ed italiani. Intervista alla coordinatrice del progetto Terragiusta dell’associazione dei Medici per i diritti umani. Necessario arrivare alla tracciabilità degli acquisti dei prodotti da parte dei grandi gruppi della distruzione 
lavoro nero

È passata la stagione estiva ma lo sfruttamento de lavoratori agricoli in certe zone del Paese è un fenomeno che non si riesce ad estirpare. Resta da chiarire l’ultimo fatto di sangue riportato a fine settembre del bracciante del Burkina Faso ucciso a colpi di fucile nelle campagne tra Foggia e Lucera. La versione della eccessiva punizione per il furto di alcuni meloni è al vaglio degli inquirenti, mentre la Cgil siciliana ha denunciato la contabilità di 15 morti accertati nelle serre della provincia di Ragusa.

 

Si trattava di lavoratori giovani, compresi nell’età tra 26 e 40 anni. La stessa età di Arcangelo De Marco, il lavoratore tarantino deceduto, ad inizio settembre, dopo 35 giorni di agonia mentre lavorava nei campi in provincia di Potenza ad un’attività particolarmente stancante da compiere in piedi per ore ( era addetto sotto un tendone asfissiante all’attività di  staccare dai grappoli di una gli acini più piccoli). Diverso colore della pelle ma stessa filiera dello sfruttamento con tanto di quota giornaliera da versare al “caporale” per l’interposizione abusiva di mano d’opera.

 

Su cittanuova.it abbiamo riportato diversi interventi qualificati di analisi e proposta di soluzione di una prassi vergognosa. Per avere una visione completa del fenomeno bisogna ricorrere alla versione integrale del rapporto “Terragiusta” reso noto ad aprile 2015 dall’Associazione Medici per i diritti umani. Abbiamo rivolto alcune domande a Giulia Anita Bari, coordinatrice del rapporto.  

 

Quali ostacoli esistono per ripristinare il rispetto delle regole nei casi conclamati di sfruttamento dei braccianti agricoli? Basterebbero più ispettori?

«Non credo che la presenza di maggiori ispettori sia la soluzione. I controlli sono uno strumento, ma non vanno ad intaccare le cause delle condizioni precarie in cui vive il settore agricolo in questo Paese. La risposta non può che essere articolata. E' necessario diffondere una cultura della legalità e del lavoro, è necessario mettere in discussione il modo in cui si produce e i bassi prezzi imposti dalla Grande Distribuzione Organizzata ai produttori. A sostegno di tutto ciò serve una maggiore organizzazione e trasparenza della filiera»

 

Il fallimento della proposta del bollino etico di certificazione della filiera si potrebbe superare, a vostro giudizio, con il coinvolgimento e la sanzione per la grande distribuzione organizzata?

«Il fallimento del bollino etico e degli incentivi economici ad essi collegati ci raccontano braccia a poco costo sono comunque più convenienti. Ritengo molto interessanti le proposte lanciate dalla Campagna #filierasporca. Tra queste: l'obbligo di tracciabilità dei fornitori e trasparenza, rendendo pubblico e consultabile l’elenco dei fornitori delle aziende della filiera; l'introduzione di una etichetta narrante che accompagni il consumatore verso una scelta consapevole sull’origine del prodotto ma anche sui singoli fornitori e di misure legislative che prevedano la responsabilità solidale delle aziende committenti»

 

Avete rilevato una crescita dei lavoratori italiani nella sottomissione al caporalato nel settore agricolo?

«Lavorando negli insediamenti informali in cui vivono lavoratori stranieri, non è un dato questo che rileviamo direttamente attraverso la nostra attività. Certo è che il caporalato nasce come fenomeno tutto italiano. Storicamente sono proprio i braccianti italiani ad essere sottoposti a tale tipo di sistema. E continuano in parte ad esserlo. Dico "in parte" perché gli operai agricoli italiani negli anni sono diminuiti e si sono specializzati. Quindi tra le braccia a basso costo sono aumentate quelle straniere».

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