La sfida del generare la vita

La gestazione è la fase più importante della vita. In essa vengono poste le basi psichiche e fisiche per la formazione dell’essere umano condizionando a cascata l’andamento di tutte le fasi successive della vita.  È quanto chiarisce Gino Soldera in Mamme e papà, l’attesa di un bambino (Città Nuova, 2014)
Mamme e papà

Sosteneva Erik Erikson che il generare si esprime primariamente nel desiderio di procreare e di prendersi cura dei propri nati, per trasmettere loro il proprio patrimonio genetico e valoriale.

Oggi la questione non sembra più porsi in questi termini: il bisogno di cose essenziali, come la famiglia e i figli, viene spesso sostituito dalla necessità di possedere beni effimeri e luccicanti, in una ricerca di libertà aperta a tutti, senza esclusioni, purché sia orientata alla pratica consumistica. Vedi, ad esempio, i numerosi metodi contraccettivi proposti in modo indiscriminato dall’industria farmaceutica per il controllo delle nascite, che hanno come effetto quello di alimentare la de responsabilità verso se stessi, il proprio corpo e la funzione generativa.

Accanto al desiderio di un figlio, da tempo si sta facendo sempre più spazio nella società una cultura di scarso interesse e di diffidenza verso la vita. Si partorisce sempre più tardi, in media attorno ai 32 anni, e il 10% dei bambini viene alla luce da madri che hanno superato la quarantina.

In alcuni casi il figlio non solo non viene desiderato, ma viene rifiutato e abortito: più che come opportunità, il piccolo è considerato in prospettiva negativa, un ostacolo per gli studi o la carriera, un peso insuperabile a causa della presenza di altri figli e persone a carico.

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Ciò ci aiuta a comprendere che, come ha sottolineato papa Benedetto XVI, la vecchiezza del mondo e il vuoto delle culle derivano da “un deficit di amore”.

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Sono ancora molto pochi i genitori che riescono a comprendere il valore della gestazione nella vita dell’uomo, e la nostra società non fa molto affinché questo cambi, anche perché sta vivendo un profondo periodo di decadenza. La gestazione è da considerarsi a ragione la fase più importante della vita: in essa vengono poste le basi psichiche e fisiche per la formazione dell’essere umano condizionando a cascata l’andamento di tutte le fasi successive della vita, come insegna la moderna epigenetica.

La scarsa consapevolezza che i genitori ancora hanno verso questo delicato momento accresce in loro la  difficoltà a entrare da subito in contatto con il figlio: così il piccolo viene spesso vissuto più come un  estraneo che come una parte importante di sé. Inutile dire che questo comporta profonde ripercussioni nella relazione e nella comunicazione, e ciò rende più difficoltoso sia il parto che l’allattamento.

Generare ed educare

Questo insieme di considerazioni aiuta a comprendere quanto sia stretto il legame tra il generare e l’educare, e tra l’atto generativo e la relazione educativa. In generale, il parto viene visto da molti come un inutile dolore da evitare, e non come momento fondamentale d’incontro nella triade tra madre, padre e figlio. Tale visione impedisce ai genitori di diventare pienamente consapevoli delle loro risorse, ma anche delle loro capacità e potenzialità, necessarie per costruire con il figlio, fin dall’inizio, una relazione fondata su intesa e collaborazione.

Da tempo la ricerca scientifica ha dimostrato che il bambino non ancora nato è un essere attivo, competente e dotato di una propria capacità di relazione e di una propria intenzionalità.

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Molte patologie, molti disturbi psichici e comportamenti devianti si possono comprendere facilmente se si prende in considerazione nell’individuo anche questa parte della vita, oggi inopportunamente oscurata.

Sul piano della relazione educativa ci si dimentica che il senso profondo dell’educazione, dell’educere, del tirar fuori, può emergere solo se viene considerata l’essenza vitale che alberga nell’animo del bambino e nella profondità di ogni essere umano, nel centro della sua coscienza, nel vuoto del silenzio, lontano da ogni richiamo della materia: questa è la vera essenza, l’unica capace di aprire gli spazi al futuro, dare il senso della prospettiva e il richiamo della gioia per il domani. Nei fatti il bambino è considerato ancora un vaso vuoto da riempire e non un mondo misterioso da scoprire, conoscere e sviluppare.

Egli avrebbe bisogno, da subito, di relazioni importanti e significative, fondate non sul controllo esteriore, ma sull’intesa e sulla comprensione interiore. Questo al posto di un mondo preconfezionato dentro programmi più o meno appiattiti e comunque distanti dalla sua persona, dal suo progetto di vita e dalla mission, il motivo per il quale sta vivendo ora, in questo mondo.

A questo si somma il fatto che oggi il bambino si trova a vivere all’interno di nuclei familiari molto ristretti, con uno o due figli, in un mondo di adulti spesso molto lontano dal proprio, e questo rischia di mettere in discussione la qualità della sua esistenza.

Affinché ciò non avvenga è necessario recuperare il valore del rispetto, dell’accettazione e della valorizzazione della persona umana, fin dal concepimento, essendo questi i fondamenti di ogni vera forma di educazione. Il bambino, anche grazie alla sua grande capacità di adattamento, impara a vivere soprattutto nel mondo degli adulti che ha di fronte e che percepisce come un modello ideale di riferimento.

Solo se si permette a se stessi e all’altro di vivere la relazione nella coerenza e di cogliere il senso dell’autenticità dell’esperienza, si ha la possibilità di superare ogni barriera e di realizzare l’incontro, facendo evaporare ogni forma di isolamento e di distacco, per riconoscerci protagonisti di un comune destino.

La società tutta è chiamata a interrogarsi e a decidere quale modello di civiltà e quale cultura intende promuovere, ma anche quale tipo di famiglia intende favorire, quale ruolo intende assegnare al padre e alla madre e quale educazione intende sostenere nei confronti delle nuove generazioni. Non dobbiamo mai dimenticare che il bambino rappresenta la vera religione, che è in sostanza preghiera vivente, miracolo perenne dell’alleanza tra il cielo e la terra, il quale continuamente ci ripete, come ci ricorda il poeta Tagore, che Dio non si è ancora stancato degli uomini.

Mamma e papà fin dal concepimento

Per consentire al proprio figlio di essere realmente se stesso, ogni uomo e ogni donna devono essere messi nella condizione di poter essere papà e mamma e non dover essere padre e madre.

La differenza tra poter e dover essere è sostanziale. Per una donna il poter divenire madre si realizza attraverso un contatto spontaneo e vero con se stessa e con la sua natura interiore.

Questa intima consapevolezza, sostenuta dall’amore, è importante fin dal concepimento, perché solo in questo modo la mamma potrà aprire la porta a suo figlio, farsene carico e avere con lui un rapporto autentico. Nel dover essere madre o padre, vi è invece la pretesa (conscia o inconscia) di un figlio, che porta senza volerlo a una sorta di confusione personale ed esistenziale, che a sua volta si ripercuote in una difficile relazione con il figlio.

Cercare di essere mamma o papà, e al meglio delle nostre possibilità, è la migliore forma di educazione pre e post natale che possiamo dare ai nostri figli: si tratta di aprirsi senza riserve alla vita (a questa creatura che, anche se ancora non si vede, è già “persona” fin dal momento del concepimento), nell’umile disponibilità ad accogliere, facendo affiorare la grande ricchezza celata nella profondità del nostro essere.

Il ruolo del padre e della madre nella nostra società non ha ancora perso di significato, nonostante negli ultimi anni siano avvenuti profondi cambiamenti legati alla caduta di valori e ideologie tradizionali, alla crescita del benessere e alla trasformazione della famiglia. La nostra cultura ancor oggi è permeata da una sorta di lotta tra i sessi che caratterizza la relazione tra uomini e donne, e quindi il rapporto tra padri e madri. Ma uomini e donne sono davvero così diversi?

Non è forse meglio riconoscere che essi sono complementari, sia dal punto di vista biologico che psicologico? Questo gap può essere superato solo attraverso il rispetto reciproco, all’insegna dell’amore: i genitori devono quindi “condividere” il figlio fin dal concepimento, fidandosi l’uno delle competenze e capacità dell’altro.

 

Gino Soldera, MAMME E PAPA', l’attesa di un bambino (Città Nuova, 2014)

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