La promessa e l’impegno

Occorre cogliere e valorizzare – là dov’è presente – la linfa genuina dello Spirito Santo che scorre e fiorisce nei diversi tralci dell’unica vite che è Gesù

Nei due precedenti “Se posso” ho cercato di offrire alcune piste per il discernimento del significato che riveste oggi per noi la riforma di Martin Lutero del XVI secolo, di cui quest’anno commemoriamo insieme i 500 anni. Dopo esserci chiesti quale postura comune di fede quest’evento ci chiede e quale trasformazione della memoria esige, possiamo cercare ora d’individuare la promessa e l’impegno per il futuro che da quest’evento possono scaturire.

Per prima cosa, si tratta della promessa e dell’impegno a camminare insieme, cristiani delle diverse Chiese. Lo ha sottolineato papa Francesco: «L’unità è cammino». Sì, perché l’unità non è frutto dei nostri sforzi: ma dono che viene da Dio. Essa infatti è quel seme di pace e concordia che germoglia vigoroso nella storia dacché Gesù è venuto tra noi e nella sua pasqua ci ha tutti riconciliati in sé. Sì, ancora, perché questa unità è oggi da noi accolta e sperimentata in una tappa nuova del suo cammino come fratellanza che ci lega nell’amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rom 5, 5) e che ci fa riconoscere «membra gli uni degli altri» (Rom 12, 5).

Sì, da ultimo, perché è proprio questa unità che tutti noi, discepoli di Gesù, siamo abilitati nella grazia e chiamati nella responsabilità e nella concretezza delle opere a testimoniare a servizio di tutti.

Ma ciò implica – ecco la seconda cosa – la promessa e l’impegno ad armonizzare le diversità, in docile e desiderante ascolto del soffio dello Spirito Santo che vuol guidare e ispirare i passi del nostro cammino. Non basta, infatti, mettere allo scoperto la perla preziosa che volta a volta può giacere sepolta nel campo – talvolta anche conflittuale! – delle interpretazioni della fede che la storia e la creatività della fede ci offrono nel patrimonio delle diverse Chiese e tradizioni. Né più è sufficiente puntare a raggiungere la meta di una “diversità riconciliata” come riconoscimento reciproco delle diversità semplicemente accostate l’una accanto all’altra.

No. Occorre cogliere e valorizzare – là dov’è presente – la linfa genuina dello Spirito Santo che scorre e fiorisce nei diversi tralci dell’unica vite che è Gesù. Questi tralci sono le diverse Chiese e tradizioni di cui il vignaiuolo solerte e ricco di misericordia è il Padre, che mai cessa di prendersi cura del frutto della sua opera di salvezza anche potando i tralci là dov’è necessario, affinché ognuno dia più frutto in sinergia con tutti gli altri.

Solo così l’unità in Gesù è confessata e vissuta per il dono che è per tutta l’umanità: non uniformità, ma ricco scambio di doni. «Nessuna Chiesa – ha scritto papa Francesco – è tanto povera da non poter apportare il suo insostituibile contributo alla più ampia comunità cristiana. E nessuna Chiesa è tanto ricca da non aver bisogno di essere arricchita dalle altre, sapendo che ciò che lo Spirito Santo ha seminato in altre comunità cristiane può essere raccolto come un dono anche per noi».

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