La profezia di Ildegarda
Il 7 ottobre prossimo, alla vigilia dell’Anno della fede, Benedetto XVI proclamerà due nuovi dottori della Chiesa: san Giovanni d’Avila, sacerdote vissuto al tempo del rinascimento spagnolo, e santa Ildegarda di Bingen, monaca benedettina del Medioevo tedesco. A questa seconda figura la scrittrice Lucia Tancredi ha dedicato un libro edito da Città Nuova: Ildegarda. La potenza e la grazia. Cosa ha significato per lei questo annuncio?
«Soddisfazione per il riconoscimento ad una donna i cui documenti, libri e testimonianze, già nel secolo successivo a quello della sua morte avvenuta nel 1179, erano guardati con sospetto e diffidenza. Ad una donna, all’epoca, bastava molto poco per essere accusata di essere una strega: vivere sola, erborizzare per i boschi, leggere.
«Ildegarda non amava le mortificazioni e la spiritualità improntata al concetto della colpa. Fondava da sola i suoi monasteri, vestiva le sue monache di verde, non recideva loro i capelli, lasciava che si abbigliassero di perle e di fiori, perché non avessero vergogna della loro bellezza e giovinezza. Aveva coniato una parola, viriditas, a significare il rigoglio sempre verde della natura e la verginità come fedeltà di ogni donna a sé stessa.
«Ildegarda aveva disposto che le sue monache studiassero, scrivessero, miniassero, si muovessero in figura di danza e soprattutto cantassero la musica che scriveva per loro. Aveva un grande talento per la felicità. Aveva elaborato un metodo di guarigione naturale nella persuasione che per giungere a Dio bisognava essere anche in buona salute.
«È evidente che tanta libertà in una donna risultasse destabilizzante e pericolosa: questo il motivo di tanto silenzio sceso su di lei e su gran parte della sua opera.
«Serviva un papa tedesco che non solo la confermasse come santa, nel maggio scorso, ma che le concedesse il titolo più prestigioso: quello di dottore della Chiesa, riconoscendo così la sua autorità intellettuale e l’alto magistero del suo insegnamento».
Com’è nato il libro dedicato ad un personaggio tanto complesso?
«Dice la filosofa francese Julia Kristeva, autrice di una bellissima biografia di santa Teresa d’Avila, che non siamo noi a cercare le mistiche, ma sono loro a braccarci.
«All’inizio le mistiche sembrano distanti, assorte nelle loro vite tanto diverse dalle nostre esistenze aggrovigliate e distratte. Poi, a poco a poco, si installano dentro di noi, diventano nostre coinquiline, amiche, sorelle, complici di quella doppia cittadinanza con la quale si configura spesso la vita di una donna: quella esteriore dedita agli altri, e quella nascosta nella quale ognuna deve fare i conti con il suo excessus, con la sua potenza. Le mistiche lo sanno bene che le donne non sono quiete, timorate, paghe dei loro limiti. Le donne sono sempre sbilanciate verso l’amore.
«Dopo Io Monica, dedicato alla madre di sant’Agostino, da Città Nuova mi arrivò la proposta di una biografia di Ildegarda. Di lei non sapevo quasi nulla e rifiutai. Nel caso di Monica, mi trovavo di fronte alla mancanza di fonti; nel caso di Ildegarda era l’opposto: le sue summae enciclopediche, i testi innumerevoli, le biografie poderose dei personaggi storici con i quali era venuta a contatto, Federico Barbarossa, Bernardo di Chiaravalle, Eleonora d’Aquitania. Era una fatica da cui volevo tirarmi fuori. Succedeva, invece, che dovunque mi volgessi vedevo il nome di Ildegarda o la ritrovassi nei libri. Senza accorgermene ero già dentro il lavoro».
Anche in questa seconda biografia è la protagonista a prendere la parola…
«Il caso di Ildegarda è emblematico. Proprio lei, che si era circondata di vergini sapienti, complici, educate alla conoscenza dei sensi più sottili, con le quali comunicava anche attraverso una lingua segreta, aveva dettato o ispirato la sua biografia solo a segretari uomini come Gottfried e Wilbert di Gembloux, Teodorico di Ecternach successivamente.
«Ho immaginato che avesse potuto dettare la sua biografia più intima e privata ad una delle sue pupille come Adelheidis, futura badessa di Gandersheim, rimastale accanto fino alla morte. Forse in Adelheidis ho voluto adombrare anche me stessa. Anche io sono stata una specie di scriba, un vaso per le sue parole».
Quando scriveva di Monica, mi consta che la sua fede avesse più dubbi che certezze ed era piuttosto sfornita di supporti teologici. E mentre approfondiva Ildegarda?
«Continuo ad avere i miei dubbi sui supporti teologici, su una certa codificazione della Chiesa e sulla sua inevitabile strutturazione mondana. La mia fede invece si è rafforzata nella convinzione che le donne si prendono con Dio una confidenza a volte sorprendente, che poco ha a che fare con regole e supporti. Quella delle donne è una sorta di teologia favolosa nelle quali loro si fanno “operaie del passaggio”, tenendosi aperte al mistero, sulla scorta di Maria di Nazareth».
Il papa, associando Ildegarda a san Giovanni d’Avila, ha parlato di santità di vita e di profondità di dottrina che «li rendono perennemente attuali». Il suo pensiero al riguardo.
«Le mistiche dovrebbero diventare icone della modernità. Da Monica a Teresa ad Ildegarda, tutte hanno caratteristiche comuni: erano costrette dentro ruoli, regole, muri o ginecei, spesso malate – o, come avrebbe detto Freud, isteriche –, eppure sfidavano il mondo, fondavano monasteri, viaggiavano, parlavano alla pari con papi e imperatori.
«Soprattutto, cercavano l’anima attraverso il corpo. Oggi noi donne pensiamo di sapere tutto sul corpo: lo veliamo e lo sveliamo, lo vendiamo e lo patiniamo, lo scolpiamo con il bisturi, ma del corpo non sappiamo nulla. Ildegarda parla del corpo non come una materia opaca, ma come qualcosa che può essere soffiato, travolto da vortici di energia, guarire, farsi calco del corpo stesso del mondo. La bella profezia di Ildegarda è quella di un uomo fatto di luce, capace di tenersi fedele agli insegnamenti di giustizia e di convertire il ferro delle armi in strumenti per avvicinarsi alla terra.
«La grazia specialissima che mi ha fatto Ildegarda è stata quella della scrittura. Mi capitava al mattino di arrivare a scuola in ritardo, tenere le mie lezioni, correre a prendere il bambino, tirare il carrello di un supermercato; ma una parte di me rimaneva ancora dentro la pagina scritta appena sveglia, nel silenzio della casa: Ildegarda di sera, nel suo studiolo attorno ad un braciere insieme al segretario Volmar e alla fedelissima Richardis mentre scrive oppure compone musica; ogni tanto giunge dal bosco vicino il canto di un gufo o il trascorrere lontano di un branco di daini e, in quel guscio felpato, questi suoni della Natura procurano un’acuta sensazione di esistere, in grazia di Dio».