La posta del direttore

Droga: prevenire non basta La diffusione della droga cresce grazie a una serie di bugie che impediscono di imboccare la via d’uscita. Bugia 1: ci sono le droghe buone e le droghe cattive, quelle che possono far male e quelle che aiutano a passare un’allegra serata. Bugia 2: ci sono gli spacciatori poveri e gli spacciatori ricchi; i primi sono buoni, svolgono quasi una funzione sociale, i secondi sono cattivi. Bugia 3: ognuno è arbitro della propria salute, e quindi libero di farsi del male a piacimento senza che lo stato si intrometta. Queste bugie sono smentite dai più recenti studi scientifici e rapporti degli organismi internazionali di lotta alla droga. Oltre a questo, si deve considerare che la legislazione vigente ha cercato semplicemente di ridurre il danno, fornendo siringhe disinfettate o surrogati di buona qualità della droga: l’esperimento è stato fatto; il danno non è stato ridotto e, anzi, si e moltiplicato. Si tratta invece di tendere con decisione alla liberazione dei tossicomani dalla loro dipendenza. Ciò esige il chiaro riconoscimento che il consumo di droga e la disponibilità di essa sul mercato non costituiscono libertà da tutelare. Vendere, comprare e consumare sostanze stupefacenti non è un diritto, ma un danno alla salute di tutta la comunità, dal quale essa ha il dovere di difendersi. Un lettore di Napoli La questione è molto complessa e dibattuta. Ma nella sostanza sono d’accordo col lettore. Non passa giorno che i mezzi di comunicazione non riferiscano di qualche dramma legato all’uso della droga. E quando a rischiare la vita, come è successo ancora ieri a Torino, è il rampollo di una grande famiglia, lo scandalo occupa le prime pagine di tutti i giornali. Salvo poi che quegli stessi giornali minimizzino, con la scusante della modica quantità, l’uso di droga che porta invece quasi fatalmente a imboccare una strada senza ritorno. La regola d’oro applicata da uno stato Ho raccolto da un canale televisivo, questa testimonianza di Mike Huckabee, governatore dello stato dell’Arkansas, che ha accolto 60 mila sfollati a causa dell’uragano Katrina.Vorrei farvela conoscere perché parla della regola d’oro come base dell’aiuto di un intero stato. A chi gli chiedeva come ce l’avrebbero fatta, visto che la popolazione dello stato era aumentata di colpo del 2,6 per cento, il governatore ha risposto: I cittadini dell’Arkansas hanno accolto queste persone come loro vicini ed amici. Abbiamo chiesto a tutti di mettere in pratica la regola d’oro, di trattarli come loro vorrebbero essere trattati. E tutti l’hanno fatto. Questo disastro ci ha profondamente toccati, ma anche ci ha dato la possibilità di offrire il nostro aiuto. Abbiamo cercato di aiutare tutti distribuendoli in oltre 26 campeggi, oltre che in case di amici e conoscenti. In questo modo possono essere messi al centro dell’attenzione e delle cure, e venire trattati come individui. Ciascuno deve sentirsi speciale, devono essere chiamati per nome, e stabilire rapporti personali con chi li aiuta. Ospedali e scuole hanno logicamente aumentato i loro pazienti o studenti. Sono molto contento che le varie chiese si siano tutte comportate con generosità. Noi semplicemente ci chiediamo: se io fossi quella persona, come vorrei essere trattato? In questo modo anche se è un compito difficile, non è impossibile. C. Z.Washington Nevé Shalom Wàhat as-Sàlam Nella corrispondenza del n. 18 di Città nuova, un errore di battitura ha trasformato il nome della nota convivenza fra ebrei e arabi Nevé Shalom, il cui significato è Oasi della Pace, in un improbabile Never Shalom che potrebbe significa- re Mai pace. Ce ne scusiamo. E al contempo approfittiamo di segnalare la precisazione fattaci da Vittorio Sedini, che ci informa come il nome di questa istituzione vada citato sempre per intero, e cioè in ebraico e in arabo. Omettendo infatti il nome arabo si snatura lo scopo della istituzione stessa e si fa torto alla componente araba dell’Oasi e di tutti quelli che sostengono questa iniziativa. Si deve dunque scrivere: Nevé Shalom – Wàhat as-Sàlam. Ovviamente ringraziamo per questa puntualizzazione che ci offre l’occasione di tornare sull’argomento per augurare a questa iniziativa, così ardua per i tempi che corrono, di consolidarsi e moltiplicarsi. Acquistare il Made in Italy Non sono d’accordo sul suggerimento di Ciampi: acquistiamo il Made in Italy. II nostro amato presidente, che io stimo oltre misura per il suo appassionato sentimento d’italianità ed il suo equilibrato e nobile compito istituzionale, ha invitato gli italiani ad acquistare prodotti italiani. Mi sia consentito di dissentire. Io credo che gli italiani non acquistino tenendo in considerazione dove un articolo sia prodotto, ma valutando oggettivamente il miglior rapporto di qualità-prezzo. Sarebbe più logico e più saggio da parte di Ciampi pungolare le aziende-industrie a produrre meglio e a prezzi più bassi. Così saremo in grado anche di combattere l’attuale agguerrita concorrenza dei cinesi e di altre nazioni emergenti sui mercati internazionali. F. P.- Cervinara Ritengo giusto pungolare le aziende a produrre meglio e a prezzi più bassi, anche se a ciò provvedono già le leggi di mercato.Viste le difficoltà in cui versiamo, si dovrebbero invitare anche le istituzioni a eliminare i troppi balzelli che intralciano chi voglia onestamente lavorare e produrre, senza vedersi costretto a trasferirsi in un paese dell’est. A questo punto però aggiungerei che non guasta affatto l’invito del presidente Ciampi agli italiani a preferire il Made in Italy, perché le nostre scelte sono spesso dettate da puro snobismo: si veda la preferenza concessa a Smart e a Mini o ai costosissimi fuoristrada. Provincialismo assurdo, questo nostro, che induce molte ditte a dare nomi inglesi ai prpri prodotti, quando all’estero vengono dati nomi italiani a prodotti contraffatti che scimmiottano i nostri di maggiore successo. Più ampie riflessioni sull’argomento le troverà comunque nell’articolo a pag. 14 su questo stesso numero. Von Galen e le ingerenze della chiesa In questi ultimi tempi si avverte la pressione, soprattutto mediatica, contro le presunte ingerenze della chiesa nella vita pubblica. Tutto ciò non mi meraviglia. Credo che la chiesa continui a fare quello che ha sempre fatto da duemila anni, sull’esempio del suo fondatore che ha sfidato la morte in croce; e su quello di molti martiri che lo hanno seguito fino al terribile secolo XX dominato dalle degenerazioni anticristiane del pensiero moderno, dal nazismo al comunismo. In questi ultimi giorni la chiesa ha beatificato il vescovo tedesco Clemens Von Galen che fu perseguitato dal nazismo perché si schierò in difesa degli ebrei e contro la soppressione degli esseri umani non produttivi. Ebbene anche questa posizione fu considerata una ingerenza nella vita pubblica di allora. Fabio Hegart Hiroshima come Dresda In una breve recensione al libro Hiroshima. Il racconto di sei sopravvissuti, pubblicata nel n. 18 di Città nuova, si definisce il bombardamento atomico di Hiroshima come la più grande catastrofe che l’uomo abbia provocato. Le sarei grato se potesse chiarirmi in base a quali criteri sia stata realizzata una graduatoria di tali catastrofi. Se, infatti, il criterio fosse il numero delle vittime, ci sono stati altri eventi che hanno fatto un numero di morti ben più elevato. Per esempio, l’Olocausto del popolo ebraico da parte del regime nazista, oppure i morti nell’Unione Sovietica durante il regime comunista; oppure ancora, il bombardamento su Dresda del 13 e 14 febbraio 1945, che bruciò vive più persone di quante ne perirono a Hiroshima. Se invece i criteri sono diversi dal conteggio delle vittime, allora penso che la questione meriterebbe un bel dibattito, che non può essere relegato alla rubrica delle recensioni, e forse le affermazioni sarebbero meno drastiche. Nicola Miolo Premesso che una segnalazione di poche righe non può essere definita recensione, non mi sembra il caso di formalizzarsi su queste graduatorie. È vero che nei campi di sterminio nazisti e nei gulag sovietici le vittime furono milioni e che il bombardamento di Dresda forse fu più cruento e inutile dell’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Penso dunque che la definizione di più grande catastrofe si riferisca al fatto che essa fu concentrata in un solo episodio con la deflagrazione di una sola bomba. Se invece si vuole riflettere sull’assurdità di avere usato mezzi di sterminio come quelli che lei ha citato, la loro condanna è palese sulle pagine di Città nuova da quando la rivista esiste, cioè ormai da quasi cinquant’anni. E non solo di quelli parlerei, perché con altrettanta determinazione ci siamo espressi anche contro l’eliminazione di un solo uomo. D’altra parte penso che il dialogo con i superstiti di Hiroshima, riportato nel libro, come le drammatiche testimonianze degli scampati dai lager nazisti o dai gulag, aiutino a riflettere positivamente sul valore della vita e sul dolore SOLO LETTERE BREVI E FIRMATE Nell’interesse dei lettori rinnoviamo l’invito ad inviare a questa rubrica soltanto lettere brevi e firmate, indicando anche il luogo di provenienza. Per definirlo non è sufficiente l’indirizzo di posta elettronica del mittente. Si può comunque chiedere la riservatezza e, in questo caso, nella risposta si userà la formula Lettera firmata. La corrispondenza che non ottempera a queste esigenze non può venire presa in considerazione per la pubblicazione. Si prega di indirizzare ogni altro tipo di comunicazione alla segreteria.

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