La posta del direttore

UN PENSIERO INQUIETANTE “Molto semplicemente mi sto chiedendo dove siano finiti i pacifisti che sfilavano per “tutte le guerre” nelle città colorate dalle loro bandiere. Perché non si sentono e non si vedono più nelle piazze ora che la guerra dell’America contro l’Iraq è finita? Ma non erano contro tutte le guerre? Vuoi vedere che le guerre? Vuoi vedere che non ci sono più guerre nel mondo e non me ne sono accorta?”. Raffaella – Grosseto È vero. Non è facile mobilitare i pacifisti per tutte le guerre che insanguinano il pianeta. C’è un’evidente propensione, in chi li raduna, a privilegiare una visione manichea del mondo, ereditata dal pacifismo di origine marxista in funzione antiamericana. Poco o nulla si fa per la Cecenia, per il Tibet o per l’Africa. Ma si deve riconoscere che neppure gli Stati Uniti hanno fatto molto per scrollarsi di dosso tanta antipatia. A questo punto, non converrà inaugurare una nuova fase in cui si attui una sorta di disarmo generale degli animi, pure nei confronti dei pacifisti a senso unico, per poterci mobilitare finalmente tutti per la pace vera, anche fra quanti la guardiamo con occhiali diversi? L’arcobaleno non dovrebbe essere monopolio di nessuno. ARTICOLO 18: OBBLIGO DELL’ASSURDO “Ma dove sono tutti questi sadici padroni e imprenditori che ci trovano gusto a licenziare onesti e volonterosi lavoratori? “Giusta causa o meno, per gli atti illegali esistono pur sempre le sanzioni. Semmai si tatta di far funzionare la giustizia come dovrebbe. “Putroppo per lavoratori, il problema non è l’abrogazione dell’art. 18, ma il lavoro. “Se un imprenditore, un padrone deve produrre, ha bisogno di lavoratori, perché dovrebbe licenziarli? Per antipatìa? Per gusto sadico? Per autolesionismo? Può succedere” ma quanti casi? “Se il problema è: licenzio tizio per prendere caio che mi costa meno, che ci azzecca l’art. 18? Se questo è il timore, vi è un problema attualissimo ben più scottante, il co.co.co, che troppo spesso si trasforma in mero sfruttamento. E non solo della manodopera giovanile. “Ah, come sarebbe bello se l’art. 18 creasse lavoro! Controllare gli abusi è un dovere, consolidare i privilegi è un lusso, specialmente se basati sul nulla (mancanza di lavoro)”. Dino Arpino ELETTRODOTTI: SERVITÙ DI TRANSITO “Sono poco convincenti le ragioni adotte dal Comitato per il sì (referendum). “È chiaro che se io, proprietario di un fondo, posso decidere di far passare o meno un elettrodotto, sicuramente mi opporrò. È noto che queste linee poggiano su piloni ed i piloni mi tolgono superficie. Mi opporrò al di là di altre considerazioni, tipo la pericolosità sulla salute. “Tutto legittimo, ma quali sono le alternative? Linee sotterranee? Avremo sempre forti disagi per i proprietari dei terreni attraversati dal manufatto. “E i costi? Già oggi gli utenti, a ragione, lamentano un costo eccessivo del kilowattore (doppio rispetto alla Germania). L’interramento delle linee porterà il costo a cifre vertiginose. Per la salute questo ed altro, certo, ma poi non facciamo populistici cortei sull’esosità dell’energia elettrica. “La cui esosità, peraltro, ha radici lontane: risale ad un altro referendum, quello sulle centrali nucleari, il cui responso plebiscitario, ma scarsamente informato, buttò a mare le nuove tecnologie, non scevre da rischi, ma nettamente meno inquinanti e costose delle centrali termoelettriche, alimentate dal petrolio. I referendum, come rimedio, a volte, sono peggio del male. Se l’informazione non è a 360 gradi. “I risultati di questa consultazione sono incerti; certi, invece, sono i costi che ricadranno su di noi. Cosa eleggiamo a fare i nostri rappresentanti? Solo per pagarli profumatamente, se appena si presenta un problema dobbiamo risolverlo noi comuni cittadini? Mia opinione personale è, comunque, che questa tornata referendaria sia stata un doppio karakiri”. Corrado Raponi Pare che la maggior parte degli italiani l’abbiano pensata come chi ha scritto queste lettere. Infatti non sono andati a votare e hanno fatto così cadere entrambi i referendum. In concreto i due problemi restano aperti. Solo chi ha un elettrodotto sulla propria testa sa cosa significhi, e ancor più lo sa chi resta senza lavoro. Ma il bene comune spesso non coincide con quello dei singoli, per cui possono intervenire valutazioni che premiano soluzioni a prima vista ingiuste. Ritengo che chi ha disertato i referendum lo abbia fatto pensato soprattutto a quello sull’articolo 18, convinto che la liberalizzazione del mercato del lavoro produca occupazione. MARTIRI E TERRORISMO “Da molto tempo leggo la vostra rivista alla quale sono abbonata da almeno dieci anni. Quest’anno non ho rinnovato l’abbonamento perché trovo che avete cambiato linea di comportamento.Vi trovo più politicizzati, meno obiettivi, e soprattutto molto di parte. “Ma ugualmente mi arriva a casa e così continuo a leggerla. Per esempio nel vostro ultimo editoriale mi pare di aver capito che considerate un ragazzo palestinese che si fa saltare in aria massacrando decine di israeliani un martire. Non potevo credere ai miei occhi! Solo in secondo luogo trovate tempo per osservare lo sguardo impaurito e commovente dei ragazzi ebrei”. Gloria Pellacani – Carpi Fa bene, signora Gloria, a non credere ai suoi occhi perché, leggendo quel testo, non ha notato la parola “paradossalmente” che dà alla frase esattamente un senso opposto a quello che lei le attribuisce. Così come non ha notato che i due esempi citati formano un tutt’uno e dunque non c’è un primo ed un secondo tempo. Dico ciò, non per polemizzare, ma per sottolineare una realtà per me molto dolorosa: che sempre più spesso si legge, o ci si ascolta, con una precomprensione di fondo che ci può impedire di cogliere il vero senso di ciò che viene detto o scritto.Tuttavia voglio aggiungere che mi dispiace di essere stato frainteso e riconosco che avrei potuto essere più chiaro nell’esprimermi. PERCHÉ TERESA NON SIA MORTA INVANO “La sua morte poteva essere evitata”. Lo hanno detto i conoscenti dopo il delitto, in provincia di Como, della sedicenne Teresa Lanfranconi per mano di un diciannovenne non nuovo a usare violenza verso le ragazze. È una frase che ritorna troppo spesso dopo omicidi di una tale efferatezza. Eppure era stato fermato poco prima dai carabinieri e rilasciato. “Quanto significative le parole di Franco, zio della giovane vittima, che le ha fatto da padre: ” Non riesco ad odiare il ragazzo che l’ha ammazzata”. E quanto coraggioso il seguito: “Non ce l’ho con la persona, che avrebbe avuto bisogno di cure. Ce l’ho con il sistema, con la nostra società che deve cambiare”. “Nessuno, nemmeno questo zio, vuole sottrarre al presunto omicida tutte le responsabilità personali dell’accaduto, ma bisogna pur riconoscere lo straordinario potere di condizionamento in cui oggi viviamo tutti noi, e in particolare le persone più fragili. Fermiamoci a riflettere su questo fatto tanto doloroso e traiamone indicazioni per cambiare i nostri schizofrenici comportamenti collettivi”. Claudio Marini – Milano UN MATRIMONIO SOLIDALE CON GLI ULTIMI “Siamo una coppia di sposi che hanno scelto di intraprendere il cammino di vita matrimoniale percorrendo una strada diversa dal solito. “Nel giorno delle nostre nozze abbiamo deciso di rinunciare al ristorante, al fotografo, al fioraio, alle bomboniere e, soprattutto, ai regali. “Il dono più grande che abbiamo ricevuto è stato l’aiuto concreto degli amici che hanno partecipato attivamente nel preparare la celebrazione eucaristica e la festa, entrambe curate con amore nei minimi dettagli. “Invece di un’anonima sala ricevimenti, abbiamo avuto la calorosa accoglienza della Comunità di Emmaus, presso la quale è stata celebrata la santa messa e si è svolta la festa: un semplice rinfresco e l’animazione di un gruppo di danzatori etnici. Non abbiamo avuto un fotografo” ma una decina di amici pronti ad immortalare ogni momento. “Tutta la comunità di amici si è sentita ancora più coinvolta dalla scelta di finanziare, con i soldi dei regali, un progetto educativo in un’altra comunità che sta crescendo a La Troncal, in Ecuador. “Insieme alle nostre famiglie ed agli amici ci siamo sentiti partecipi di un progetto più grande di noi, che tutti siamo chiamati a realizzare: il Regno di Dio”. Pino e Graziella – Foggia È una forma sempre più diffusa, questa, di celebrare il proprio matrimonio pensando agli “ultimi”. E comunque da propagare perché, oltre che concretamente utile, offre finalmente una testimonianza cristiana. A corredo dell’informazione aggiungo che la Comunità di Emmaus è una comunità di recupero per tossicodipendenti sorta a Foggia per opera dei padri salesiani i quali, tra l’altro, hanno collegato anche al mercato equo e solidale tutte le azioni e il lavoro di questi giovani e dei volontari che offrono il proprio contributo.

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