La pizza “pepperoni” di Karim

Una storia commovente, dura, spietata, come quelle di milioni di immigrati. Con un tocco di umorismo sull’internazionalità della nostra cucina.

Da poco sono tornato a Beirut per un breve periodo. E proprio in questi giorni Joseph ha chiamato per chiedere ospitalità e aiuto per Karim, un suo giovane nipote che sarebbe venuto per qualche giorno in Libano nella speranza di ottenere un visto per la Germania. Conosco Joseph da anni e quindi ho accolto Karim con simpatia anche senza conoscerlo, ma inevitabilmente scettico sulla possibilità del visto. Di questi tempi, in Europa, non tira aria buona verso gli stranieri. Karim, 34 anni, è iracheno ma vive negli Emirati, dove ha un lavoro. È sposato da 4 anni con Nayla. Tre anni fa, un mese dopo la nascita di Nour, la loro bambina, uno zio che vive in Francia venne a trovarli.

«Dopo qualche giorno – racconta Karim – lo zio mi ha detto: “Cosa ci fate qui? Grazie a Dio hai un lavoro, per ora, ma fino a quando? E per vivere non ti basta quello che guadagni. Venite in Europa: mi spiace dirlo, ma per noi cristiani non c’è più futuro in Iraq. Se volete, possiamo aiutarvi, anche se non sarà facile. Mio fratello, lo zio Najib, è ben sistemato in Germania, ed è pronto ad accogliervi. Però facendo una cosa legale, non come quei disperati che rischiano la vita in mare”». «Pensi che possiamo farcela?», gli aveva chiesto Karim. «A partire sì, certo, conosciamo le persone giuste. Ma il problema è: non tutti e tre insieme, se non volete chiedere asilo ed essere respinti, diventando clandestini. È più facile se partono prima Nayla e la bambina. Tu dovrai aspettare, se te la senti. E poi tentare dopo un anno con il ricongiungimento familiare». Era rischioso, ma se la sentiva. Anche Nayla, fece fatica, ma poi disse di sì.

Così mamma e figlia volarono a Beirut con un visto turistico. Da lì, dopo una settimana da una cugina, riuscirono ad arrivare ad Istanbul. Avevano appuntamento con lo zio, che andò infatti a prenderle in aeroporto. Con lui riuscirono a imbarcarsi su un traghetto per Varna, in Bulgaria. Poi in autobus arrivarono a Sofia, e lì c’era Rula, la moglie dello zio, e insieme li accompagnarono in aereo a Parigi, dove le aspettava zio Najib. Dopo qualche giorno, lui le portò in macchina ad Amburgo e le sistemò in due stanzette ricavate nella mansarda della sua casa. In poco più di tre mesi, mamma e figlia avevano un permesso di soggiorno. Nayla iniziò subito un corso di tedesco e guadagnava qualcosa facendo la baby-sitter per due famiglie siriane del quartiere. Karim iniziò a mandarle un po’ di soldi regolarmente. Ma dopo un anno la domanda di ricongiungimento familiare fu respinta. E l’anno dopo di nuovo. Karim continuò a vivere negli Emirati e la sua famiglia ad Amburgo. Nour e Nayla le ha viste per tre anni solo su skype.

Il giorno dopo il suo arrivo a Beirut, un Karim stanco e preoccupato è andato all’ambasciata tedesca per scoprire se c’era una possibilità di ricongiungimento familiare, come gli aveva assicurato al telefono zio Najib. «Sì – gli avevano detto in ambasciata –, è possibile se l’ambasciata irachena non ha niente in contrario». Un tuffo al cuore e una corsa all’ambasciata irachena. Ore di attesa ma alla fine aveva ottenuto la carta. Un’altra corsa per tornare dai tedeschi. «Bene! – gli avevano risposto – torni fra tre giorni». Dopo tre notti insonni, l’ho accompagnato davanti all’ambasciata. Era teso, sudava e pregava. È tornato nel pomeriggio, radioso. Aveva comprato una pizza.

«Hanno accettato il ricongiungimento, e mi hanno dato un visto di tre mesi. Posso completare la pratica ad Amburgo! Ho già chiamato Nayla e lo zio Najib». Mentre parlava sudava e piangeva, ma la sua faccia era il ritratto della felicità. Gli ho preso dalle mani la pizza: «E questa?». «È una pizza pepperoni, c’era un negozio vicino all’ambasciata. L’ho presa per festeggiare». L’ho abbracciato, felice della sua felicità. Ci siamo seduti a tavola, ho tirato fuori due birre. Mi è venuto da sorridere aprendo il contenitore della pizza. Non si sa come mai, ma qui la pizza con il salame (turco, rigorosamente senza carne di maiale) si chiama così: “pepperoni” (con 3 p). Karim mi ha spiegato: «A Nour piace moltissimo la pizza. Ma si trova la pizza in Germania? E in Italia? Nayla la sa fare molto bene, soprattutto quella palestinese con pinoli, olio e cannella». L’ho abbracciato di nuovo: «Sì, c’è dappertutto: la pizza non ha confini e piace a tutti; non ha bisogno di visti per adattarsi a tutti i popoli». Abbiamo brindato a Nour e alla sua fantastica famiglia finalmente riunita.

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