La persona cuore della pace

¦ Il messaggio del Papa per la celebrazione della Giornata mondiale della Pace (1° gennaio 2007) affronta un tema senz’altro cruciale. Si tratta del legame irrinunciabile esistente tra il realistico impegno per la pace a la visione della persona umana che lo sottende e lo ispira. Dimmi come vedi l’uomo – si potrebbe dire – e ti dirò quali prospettive concrete il tuo impegno per la pace può e deve esibire. In realtà, i gravi attentati contro la pace di cui siamo oggi testimoni nel contesto globale del nostro mondo, ma anche all’interno delle nostre società, spingono a rimettere a fuoco con lucidità il chi è della persona umana. E a trarne le necessarie conseguenze. Anche in questo campo, dunque, Benedetto XVI c’invita a guardare all’essenziale. A riscoprire, cioè, con occhi nuovi il mistero che si esprime in ogni persona umana, in tutte le situazioni della sua esistenza e in tutte le declinazioni della sua esperienza. Si tratta di riscoprire quella grammatica – così la definisce – che Dio stesso ha inscritto nell’uomo e nella donna creandoli a sua immagine e somiglianza. È di qui che discende il significato altissimo e intangibile di ogni essere umano che non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno, capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone nel dono e nel compito a maturare se stesso nella capacità d’amore. Se non ritroviamo questo concetto della persona, in cui tutti possiamo convergere al di là delle differenze di cultura e d’interpretazione della vita, diventa praticamente inefficace qualunque tentativo di realizzare condizioni di vita intese a salvaguardare e a promuovere la pace. Un integrale concetto di persona – ribadisce il Papa – è indispensabile a costruire un’autentica prassi di pace; così come un rigoroso impegno per la pace diventa per ciò stesso il presupposto per realizzare quelle condizioni di vita e di pensiero in cui la persona umana possa diventare concretamente ciò che è. Illuminante, in proposito, è il richiamo alla Dichiarazione universale del 1948 da parte della Organizzazione delle Nazioni Unite, che si configura come una sorta di impegno morale assunto dall’umanità intera a promuovere i diritti dell’uomo. I diritti ivi proclamati, in realtà, non sono tali semplicemente perché riconosciuti da quell’autorevole consesso, ma perché esprimono la dignità della persona umana. Essi dunque vanno rispettati e promossi dagli Stati in quanto promananti dall’essere stesso dell’uomo. Il fatto che siano diventati oggetto di una solenne Dichiarazione universale attesta, semmai, che l’autocoscienza umana ha attinto oggi la soglia di una loro rivendicazione che obbliga e impegna l’intero consorzio umano. È venuto il momento, dunque, di riconnettere quest’imprescindibile carta d’intenti con la soggiacente concezione della dignità della persona umana. In quest’ottica, si tratta innanzi tutto di agganciare la dottrina dei diritti che per sé ineriscono alla persona con quella dei corrispettivi doveri cui ogni persona è tenuta nei confronti di sé e dell’altro. Il Gange dei diritti – amava ripetere il Mahatma Gandhi – discende dall’Himalaya dei doveri. Di qui, in particolare, la necessaria messa a fuoco di alcune istanze che emergono decisamente dal nostro oggi. Com’è possibile, di fatto, rispondere in positivo alle questioni che si addensano intorno al diritto alla vita (da quella dell’aborto a quella dell’eutanasia), intorno al diritto alla libertà religiosa (dal rispetto della personale adesione di fede al riconoscimento della sua espressione culturale e civile), intorno a un effettivo riconoscimento dell’uguaglianza tra le persone (sia essa quella tra uomo e donna, sia essa quella tra i popoli nell’accesso ai beni e alle risorse), se non riscoprendo la dignità di ogni persona umana? Di qui, anche, la presa di coscienza, ormai ineludibile, del rapporto esistente tra il rispetto dell’ambiente naturale e la promozione dei diritti della persona. In tale contesto il Papa non manca di richiamare l’attenzione dei governanti e degli organismi internazionali su due gravi attentati alla promozione della pace che insidiano il nostro tempo. Da un lato, la pratica inadempienza – come ha mostrato la recente tragica esperienza della guerra nel sud di Libano – del rispetto per le popolazioni civili garantito dal diritto internazionale umanitario. Dall’altro, l’oggettivo pericolo connesso con la nuova corsa alla proliferazione delle armi nucleari sullo scenario multipolare del pianeta. Né è da sottovalutare, a fronte della minaccia del terrorismo, la necessità di un’approfondita riflessione sui limiti etici che sono inerenti all’utilizzo degli strumenti odierni di tutela della sicurezza nazionale. In una parola, a quarant’anni dalla Populorum Progressio di Paolo VI e a vent’anni dalla Solicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ribadisce con forza che oggi è più che mai necessario porre mano a una riflessione innovativa sui fondamenti e le espressioni di un umanesimo integrale. E a una conseguente assunzione collettiva di responsabilità.

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