La paura resta

Sono trascorsi dieci giorni dagli attentati che hanno sconvolto l’isola, ma la tensione resta ancora tangibile mentre, a livello internazionale, la notizia non fa più notizia.

 

Nei giorni scorsi, quasi completamente ignorate dai media, si sono susseguite, da parte musulmana, le condanne agli atti che hanno provocato la strage. Nel sub-continente indiano sono state molteplici le iniziative che hanno inteso dare un segno forte di condanna. Particolarmente importanti sono quelle che si svolte di comune accordo fra diverse religioni. Significativa quella animata dal card. Coutts a Karachi in Pakistan, ma anche a Dhaka, capitale del Bangladesh, non sono mancati segni forti in tal senso. Erano centinaia i cristiani, musulmani, buddhisti e indù uniti a pregare e protestare contro gli attentati suicidi. Lo stesso è avvenuto in Malesia dove parrocchie cristiane e gruppi di musulmani si sono uniti sia per pregare che per mandare segni di pace di fronte all’orrore della carneficina.

Anche in Europa, particolarmente in Francia, non sono mancati pronunciamenti da parte musulmana contro il terrorismo in nome di Dio. In Italia, l’agenzia Sir della Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato una intervista significativa dell’imam di Ancona, Mohamed Nour Dachan, che ha affermato: «Per noi, uomini religiosi di qualsiasi religione, uccidere una persona è uccidere tutta l’umanità. Ammazzare 350 persone è qualcosa che non ti lascia dormire. Ci sono delle azioni che noi umani non riusciamo a capire». L’imam Dachan non ha voluto lasciare alcun dubbio sulla sua posizione e quella dell’Islam. «Ancora una volta alziamo la voce contro questi assassini – ha dichiarato in un comunicato ufficiale – e li condanniamo per il loro uso strumentale, blasfemo e insensato del nome dell’Islam». «Mai e poi mai l’Islam giustificherà, né tanto meno incoraggerà l’uso della violenza contro civili inermi e chiunque continui ad affermare il contrario offende Dio e offende i fedeli».

Proprio la comunità musulmana dello Sri Lanka, che si appresta, come tutti i musulmani del mondo, a entrare nel periodo del digiuno di Ramadan, è stata ora allertata dagli organi di sicurezza della piccola repubblica nell’Oceano Indiano. Il digiuno, in Sri Lanka, comincerà secondo il calendario lunare il 6 maggio e gli organi di sicurezza cercano di non correre altri rischi esponendo un altro gruppo religioso al pericolo di attentati. Negli ultimi giorni, fra l’altro è entrato in vigore il bando di tutti gli indumenti che coprono i tratti del volto, compreso il velo islamico per le donne musulmane. Il divieto è stato imposto ieri dal presidente per ragioni di sicurezza dettate dallo stato d’emergenza.

Da parte sua, la comunità cattolica riaprirà le chiese domenica prossima, 5 maggio. L’esperienza di domenica scorsa è stata per certi versi traumatizzante. Nemmeno durante il 25 anni della guerra civile si erano dovute cancellare le messe nel Paese. L’unica celebrazione ufficiale celebrata, esattamente ad una settimana dagli attentati, è stata quella officiata dal card. Malcolm Ranjit e dai suoi vescovi ausiliari nella cappella situata al centro del compound dell’arcivescovado di Colombo a Borella. La messa è stata trasmessa in diretta da tutte le reti radio-televisive. Alle 8.45, ora della prima esplosione nella chiesa di St. Anthony a Kochchikade (Colombo), in tutte le chiese del Paese sono rintoccate le campane a morto, in ricordo delle vittime. Al termine della messa, poi, il presidente Maithripala Sirisena, il primo ministro Ranil Wickremesinghe e il leader dell’opposizione [ed ex dittatore] Mahinda Rajapaksa, si sono uniti ai cattolici per la cerimonia dell’accensione del cero alle statue di sant’Antonio e san Sebastiano, i patroni delle due chiese cattoliche colpite.

Ci sono stati casi in cui, nonostante la proibizione si sono ugualmente svolti i servizi liturgici domenicali. L’agenzia Crux racconta di un villaggio, Thannamunai, a circa duecento chilometri a Nord Est di Colombo, dove si è ugualmente tenuta una celebrazione eucaristica in occasione dell’ordinazione sacerdotale di un giovane proveniente dalla stessa parrocchia. Gli inviti erano stati spediti, la gente del posto aveva preparato tutto e, in mezzo ad un notevole dispiegamento di truppe, a controlli minuziosi di tutti coloro che entravano in chiesa, si è potuta svolgere tutta la cerimonia.

Altro aspetto importante e toccante è stata l’offerta da parte delle comunità musulmana e buddhista dei propri luoghi di culto per la celebrazione domenicale della messa cristiana. Tra i luoghi messi a disposizione anche il tempio buddhista a Gampah, un luogo famoso situato nella provincia occidentale. Un gesto di questo tipo mette in rilievo che il tessuto sociale, nonostante la lunga guerra e lo sconvolgimento provocato dagli attentati e dalle vittime, resta ancora solido, sebbene le ferite morali e psicologiche siano ora riaperte e profonde.

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