La parabola di Lawrence d’Arabia

“La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne”. Così recita il biblico libro dei Proverbi. Ed è singolare che un tipo come Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d’Arabia, uno che non ha mai praticato alcuna religione, abbia scelto questo versetto come ispiratore del testo nel quale immortala la propria esperienza e i travagliati avvenimenti della rinascita del mondo arabo. Lawrence, diventato famoso per il ruolo che svolse durante la Rivolta Araba del 1916-18, s’è dimostrato anche scrittore dalla vena folgorante. Il suo libro autobiografico, I sette pilastri della saggezza, è un classico della letteratura di guerra, ma è anche uno struggente affresco di umanità. La rivolta degli arabi al dominio turco è narrata con audace realismo, tra lucida cronaca e potente scavo psicologico; la sua vicenda personale è descritta con lacerante sincerità: nulla è concesso alla retorica. Le azioni di guerra e i giochi politici sono scolpiti con vigore ferreo, mentre s’intravedono sullo sfondo gli spazi assoluti del deserto, le sue dune attaccate dal vento, i silenzi onnipotenti, le corse sui cammelli, i favolosi turbanti. A volte, in quelle pagine, ci s’imbatte in sprazzi sublimi, che sanno d’eterno. Come quando un capo arabo indica a Lawrence il luogo dove aleggia il vento più profumato del deserto, il vento che “profuma di nulla”; o quando un vecchio beduino col vestito a brandelli, estenuato, si trascina alla sorgente e, rifulgendo agli occhi di Lawrence come un antico profeta, emette un profondo respiro, sussurrando: “L’amore viene da Dio, è di Dio e torna a Dio”. Chi non ha letto il libro forse conoscerà Lawrence d’Arabia per lo stupendo film di David Lean, quello con Peter O’Toole. Un film che, a detta di Spilberg, è una pietra miliare nella storia del cinema; e che, per inciso, ora è sul mercato in Dvd con l’aggiunta del commento dello stesso Spilberg. Ma torniamo a Lawrence. La sua storia inizia in Galles dove nasce nel 1888, figlio illegittimo di un nobile. Di bassa statura, poco amante degli sport, astemio, vegetariano, egli nutre un acerbo disprezzo per la famiglia, e non conoscerà mai l’amore di una donna. La sua appassionata infatuazione per il mondo arabo avviene assai presto quando, appena laureato, partecipa a scavi archeologici in Mesopotamia. Da allora comincia a vestirsi alla araba e a coltivare la lingua e la cultura di quelle terre affascinanti. La prima guerra mondiale lo vede ufficiale cartografo in Egitto. È lì che concepisce l’idea della guerra contro l’Impero Ottomano, non come una campagna coloniale, ma come una vera guerra di liberazione del mondo arabo. Poi avviene l’incontro con l’emiro Feisal; incontro che si dimostrerà fatale. Fra i due nascerà un’intesa e una fiducia reciproca illimitata, che li porterà a compiere grandi imprese, di cui la più celebre è la clamorosa conquista di Akaba. La sua scelta di schierarsi totalmente a favore del mondo arabo, facendosi garante verso di loro delle promesse inglesi, lo porterà a presentarsi a Buckingham Palace in uniforme araba. A chi, in quella occasione, gli fa notare come a un ufficiale del reale esercito britannico non convenga presentarsi a palazzo vestito in quel modo, risponde: “Quando un uomo serve due padroni e deve offenderne uno, è bene che offenda il più potente”. Egli s’accorge dopo poco che, essendo diventato il confidente principale della rivolta araba, s’assumeva gravi responsabilità; comprende lucidamente che il governo britannico non intende lavorare per la rinascita di nazioni arabe, ma per i propri interessi economici e politici. Allo stesso tempo si rende conto che mollare, ritirarsi, sarebbe un inutile e dannoso tradimento per chi ormai crede in lui, dato che la rivolta è scoppiata e non si può più arrestare. S’impegna allora per strappare quanto più può per gli amici arabi. Lawrence vive così corroso interiormente dall’amarezza e dalla vergogna; non esita a definire la sua situazione disgraziata. “Dinanzi a me si aprivano prospettive di responsabilità e di comando che la mia natura, tormentata dalla riflessione, respingeva d’istinto”, scrive. “Mi pareva di essere troppo piccolo e vile per occupare un incarico di uomo d’azione, poiché la mia scala di valori era diametralmente opposta a quella degli altri [militari e politici], di cui disprezzavo la felicità”. Lawrence, nel corso dei combattimenti, passerà anche attraverso prove dolorosissime come la cattura da parte dei turchi, durante la quale verrà violentemente torturato. Ma alla fine l’attenderà la gloria: la vittoria e l’entrata trionfale in Damasco. Ma anche quel momento sarà segnato dal dubbio e dalla doppiezza. Lui, che cercava in tutto la purezza del gesto, si trovò impelagato in quello che si rivelava essere stata una grande illusione. “Abbiamo lavorato per un mondo nuovo e un cielo nuovo” scriverà, osservando amaramente, a vittoria raggiunta, che si compiva di fronte ai suoi occhi il tradimento di molte speranze sollevate negli animi per la creazione di una grande nazione araba, governata liberamente e autonomamente. Le potenze europee erano lì, pronte a spartirsi il bottino del defunto Impero Ottomano. Ci sarà il mandato inglese sulla Palestina e sul nascente Iraq, con Feisal come re – l’unica nazione di cui Lawrence potrebbe essere indicato come l’inventore; e il mandato francese sulla Siria. Storie destinate a ripetersi, nel travagliato Medio Oriente. Capendo di essere stato una pedina in un gioco superiore alle sue forze, il colonnello Lawrence darà allora le dimissioni dall’esercito. “E subito mi accorsi di quanto mi dispiaceva”, scrive come conclusione del suo libro. Inizia così la seconda parte della sua singolare vicenda umana; quella meno pubblica, nella quale egli cerca quasi di cancellarsi. Dapprima scrive con estrema precisione e dovizia di particolari il suo capolavoro. Ma appena terminata l’estenuante impresa, ad una stazione ferroviaria, gli verrà rubata la valigetta contenente il manoscritto. “Meglio così” commenta lui; ma gli amici lo convincono a rimettersi al lavoro e riscrivere tutto da capo. Vivendo nel terrore e nella vergogna di essere considerato traditore della causa araba, egli rinuncerà ai diritti d’autore della sua opera quando verrà pubblicata. Ridotto in miseria, si arruolerà sotto il falso nome di Ross come aviere semplice. Scoperta la sua vera identità verrà espulso dall’esercito, e soltanto per l’intercessione di Bernard Shaw e Churchill otterrà una misera pensione di guerra. Che peraltro rifiuterà. Sempre sotto falso nome si arruolerà nuovamente. La sua vita continuerà così, nel totale nascondimento; anzi, governata da una determinata volontà di scomparire. Sarà dimenticato da tutti; anche dagli arabi per i quali ha consacrato la propria orgogliosa esistenza. Tant’è che il film Lawrence d’Arabia per molto tempo verrà proibito in Egitto perché dà troppo risalto all’aiuto di un inglese alla causa araba. La morte lo coglie a 47 anni: in circostante misteriose, per un incidente in motocicletta; alcuni parlano di omicidio. “L’ora è vicina e presto i morti udranno la voce di Dio. E quelli che l’udranno, vivranno” è scritto sulla sua tomba a Oxford. Sebbene Lawrence, da un punto di visto storico, sia degno soltanto di qualche paragrafo nel turbolento scenario politico e bellico di quegli anni, determinanti per il nuovo assetto del mondo arabo, la sua vicenda umana rimarrà per sempre inquietante ed affascinante. La filosofa francese Simone Weil negli ultimi anni della sua vita non si staccava mai dai Sette pilastri della saggezza. Teneva questo libro sempre accanto a sé, come i Vangeli e l’Iliade. Perché vedeva descritta in esso la parabola dell’uomo di comando: di chi accetta la responsabilità di rimanere coscientemente al proprio posto, anche se tormentato dal dubbio di servire interessi che non condivide pienamente e che paiono portare lontano dai propri sogni e ideali. Ella comprende che un animo sensibile e sincero che vive lucidamente dentro di sé questa lacerante contraddizione, ma che nonostante tutto sa rimanere coraggiosamente al proprio posto, per evitare mali peggiori, inevitabilmente va verso l’autodistruzione. Ma in questa coscienza della propria meschinità – in questa vergogna, termine che compare molto spesso nel libro di Lawrence – il capo responsabile, pur essendo conscio di non poter pensare di salvare la propria anima, può tuttavia ridurre gli effetti della forza e della violenza sui più deboli. Può ridurre al minimo il compromesso con il Male, e le sue conseguenze. Talvolta questa limitazione diventa vera e propria rinuncia volontaria, come negli ultimi tempi della vita del nostro eroe. Ed è proprio in questo che Simone Weil vede la grandezza di Lawrence. Più che nelle sue entusiasmanti imprese guerriere.

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