La nota stonata

Quella Vigilia di Natale, Filippo era emozionantissimo. E ne aveva tutte le ragioni! Stava infatti per suonare in pubblico per la prima volta in vita sua! Scostando un poco il pesante tendone di velluto rosso, diede una sbirciatina in platea: la sala era al completo. Filippo deglutì con fatica poi lesse per l’ennesima volta le note sul suo spartito: “Re, Sol, La, Mi, Fa”; ormai le conosceva a memoria, ma non si sa mai, l’emozione può giocare dei brutti scherzi! Lentamente il tendone rosso si aprì, dal pubblico si levò un applauso fragoroso. Poi si fece un silenzio assoluto. Il direttore dell’orchestra, con la sua bacchetta, fece cenno a Filippo il quale strinse forte l’archetto del suo violino e incominciò: “re, sol, la, mo” … MO??? Proprio così: dal violino di Filippo uscì questa strana nota, chiara, forte, perfettamente stonata.Tutta l’orchestra interruppe di colpo l’esecuzione, il pubblico urlava e fischiava indignato. Ma non era solo il pubblico a urlare: sullo spartito di Filippo le altre note stavano prendendo a calci la povera Mo e gridavano: – Che figuraccia ci hai fatto fare! – Vattene via! – E che non si senta mai più parlare di te! Le stesse cose stava dicendo il direttore dell’orchestra a Filippo, il quale ascoltava a testa testa bassa, pieno di vergogna. Poi, sempre a testa bassa, lasciò il teatro. Così fece anche la nota stonata. Si arrampicò sulle righe del pentagramma, scavalcò la chiave di violino e scappò fuori nel buio, lasciandosi alle spalle i fischi del pubblico e le urla indignate delle sue sorelle. “E adesso dove andrò? È ben dura la vita di una nota stonata! Chi mi vorrà?”, erano questi i pensieri che affollavano la mente della piccola Mo, durante la sua fuga. Piena di paura, arrivò sulla piazza principale della città, dove l’alto campanile della Cattedrale sembrava voler toccare le stelle. “Quello è il posto che fa per me! – si disse la nota, rincuorata – Al conservatorio, quando qualche allievo sbagliava, il maestro gli diceva sempre: tu sei stonato come una campana. Lì mi troverò certamente bene, lei mi comprenderà”. La piccola Mo fece per infilarsi sotto la campana, ma purtroppo il vecchio batacchio aveva l’abitudine di dormire con un occhio aperto perché lassù capitavano facilmente degli intrusi: pipistrelli, palloncini colorati che erano sfuggiti dalle mani dei loro proprietari, goccioline di pioggia che non avevano voglia di bagnarsi ed era meglio tenere sotto controllo la situazione. Perciò non appena la povera no- ta mise la testa sotto la campana, la scorse subito e disse severamente: – Via, via! Ma guarda cosa doveva capitare questa notte: una nota stonata! E a mezzanotte dovremo suonare in onore del Santo Bambino: che figura ci avrebbe fatto fare! E con un “DON” secco e sonoro la spinse fuori, nel buio. Sempre più spaventata, la piccola Mo arrivò ai Giardini Pubblici. In mezzo a una grande aiola, si innalzava il monumento a un famoso generale, il quale se ne stava ritto e impettito sul suo cavallo di bronzo e teneva tra le mani una bella tromba che luccicava sotto la luce della luna. “Forse potrei rifugiarmi dentro quella tromba – pensò la nota stonata – tanto il generale è di bronzo e non può certo suonarla, non se ne accorgerà mai”. La piccola nota non sapeva che a mezzanotte i generali di bronzo (e tutte le altre statue della città) hanno il permesso di muoversi qualche minuto, per sgranchirsi un po’, dopo essere rimasti tutto il giorno immobili sul loro piedistallo. Il generale approfittava sempre di quei pochi minuti per suonare la tromba che gli ricordava le sue gloriose campagne militari. Quella sera, si immerse un momento nei suoi ricordi poi intonò deciso la “Carica”: subito uscì dalla sua tromba una nota perfettamente stonata. Il generale si adirò moltissimo, allungò la mano per agguantare la piccola Mo, ma per fortuna in quel momento tornò a essere immobile: la nota stonata era salva! Dove poteva andare adesso? Mentre la povera Mo riprendeva a vagare senza meta, nel bosco che si estendeva oltre la città, l’usignolo Lucio piangeva nel nido e nascondeva il capino sotto le ali, per non sentire le note piene di gioia che i suoi compagni lanciavano nel cielo, per salutare la luna che, in quella notte santa, sembrava ancora più bella. Lucio aveva preso un brutto mal di gola in quei giorni e aveva perduto la voce.Veramente non l’aveva persa proprio tutta, gliene era rimasto un pezzettino piccolo piccolo, due note sole: Re e La… troppo poco per un usignolo. L’uccellino provava a cantarle piano, tra sé: Re La, La Re, niente da fare, quello non era il canto di un usignolo, non avrebbe potuto unirsi al coro dei suoi compagni che sicuramente l’avrebbero schernito. Alle prime luci dell’alba arrivò la piccola Mo: era stanca, stanchissima, non ce la faceva più. Così andò a posarsi sul becco dell’usignolo, senza nemmeno guardare dove fosse. E si posò proprio in mezzo alle due sole note che erano rimaste nel becco dell’uccellino il quale riprovò a cantare, sempre più triste: – LA MO RE, LAMORE… Improvvisamente sentì una grandissima gioia, un dolce calore nel cuore e riprese a cantare, con forza: – L’amore, l’amore! Subito il canto di Lucio si sparse nel bosco e fu ripreso da tutti gli altri uccellini. Come era bello e come dava gioia al cuore! La mattina di Natale, gli usignoli volarono sopra la città e lo diffusero in ogni strada. Attirata dal canto, la gente uscì di casa ancora in pigiama. Grandi e piccini, tenendosi per mano, incominciarono a cantare: – L’amore, l’amore! Che bel Natale, fu quello! Tutti si abbracciavano sorridendo e chi aveva bisticciato con qualcuno, correva subito a fare la pace, per potersi unire al coro generale. Anche Filippo udì il canto. Dopo la brutta figura fatta in teatro era sicuro che non avrebbe più avuto il coraggio di uscire di casa. Invece uscì. Sulla piazza incontrò il direttore dell’orchestra che gli andò incontro, lo abbracciò e gli disse: – Buon Natale, Filippo! Ho subito riconosciuto la tua nota stonata e ho capito che amare significa anche comprendere e scusare gli sbagli altrui. Nella sua piccola culla posta sotto l’altare, il Santo Bambino sorrise e benedisse il mondo.

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