La media-conciliazione: mettersi d’accordo senza il processo

Sergio Barbaro

Una delle più importanti riforme che hanno caratterizzato la giustizia italiana nell’ultimo anno è stata l’introduzione della cosiddetta “media-conciliazione”. L’istituto in questione è disciplinato dal   D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28[1] in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali e dal successivo D.M. 180/2010[2]. Le due normative hanno dato attuazione in Italia alla direttiva 2008/52/CE[3] relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. La direttiva definisce all’art. 3 la mediazione come «Un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito o ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro». Il D.Lgs. del 4 marzo 2010 n. 28 all’art. 1, I comma, definisce in maniera differente la mediazione come «l’attività, comunque denominata svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa».

L’obiettivo del legislatore italiano è quello di ridurre il numero di contenziosi civili pendenti presso i tribunali favorendo la possibilità che le parti di una controversia possano trovare una soluzione   alternativa al giudizio[4]. A tale scopo il D.Lgs. prevede all’art. 4 un elenco di materie in cui il tentativo di mediazione è obbligatorio e costituisce condizione di procedibilità dell’azione in giudizio. In concreto le parti non possono in queste materie adire direttamente l’Autorità giudiziaria se non dopo aver tentato di raggiungere un accordo in sede di media-conciliazione e tale tentativo sia fallito. Difatti qualora il Giudice interpellato rilevi che il tentativo di mediazione non è stato esperito dovrà sospendere il processo fino a quando tale tentativo non venga effettuato dalle parti. Le materie in cui la mediazione è obbligatoria sono costituite dalle controversie in tema di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari[5]. Nelle altre materie non sussiste un obbligo di tentare la mediazione e questa pertanto si reputa facoltativa.

Il tentativo di mediazione si svolge di fronte a un mediatore abilitato il quale ha il compito di facilitare l’accordo tra le parti coinvolte. Il titolo di mediatore può essere acquisito dopo aver svolto un corso di formazione di almeno cinquanta ore e qualora si possegga un titolo non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale ovvero qualora si sia iscritti ad un ordine o collegio professionale[6]. Il tentativo di mediazione ha luogo presso un organismo di mediazione, ente abilitato dal Ministero di Grazia e Giustizia a gestire il procedimento di mediazione e a fornire la prestazione dei mediatori abilitati[7].

La normativa sulla media-conciliazione costituisce certamente una “rivoluzione copernicana” in un sistema come il nostro in cui il numero dei contenziosi civili è elevatissimo[8]. L’obiettivo è chiaro: si vuole promuovere una cultura della conciliazione in luogo di quella, certamente più diffusa in Italia, del giudizio. La conciliazione vuol essere in primis uno strumento che spinga le parti di una potenziale controversia giudiziale a tentare almeno di raggiungere un accordo amichevole prima di intentare una causa che potrebbe essere caratterizzata da tempi lunghissimi e dall’esito incerto.

L’intento del legislatore è reso ancora più chiaro dall’aver imposto l’obbligo di tentare la media conciliazione in materie che costituiscono la gran parte del contenzioso civile esistente in Italia.

In secondo luogo il tentativo obbligatorio di mediazione ha per oggetto controversie caratterizzate o dalla crisi di   rapporti familiari (patti di famiglia, successioni ereditarie) e   di fiducia tra soggetti (contratti assicurativi, bancari o finanziari, locazione, responsabilità medica, ), oppure da   contrasti tra soggetti legati da relazioni di vicinato (divisione, condominio) o da affari (affitto di azienda e anche gli stessi patti di famiglia). Il legislatore intende pertanto salvaguardare tali rapporti imponendo alle parti di tentare di raggiungere un accordo amichevole prima di intraprendere qualsiasi azione giudiziaria che andrebbe a inasprire ed aggravare una crisi relazionale già in corso.

Pertanto i principali scopi dell’introduzione della media conciliazione sono costituiti in primo luogo dal tentativo di ridurre il contenzioso giudiziario e in secondo luogo dalla volontà di promuovere uno strumento che permetta di risolvere conflittualità inerenti a relazioni prevalentemente di fiducia o familiari o/e di lunga durata evitando che la crisi di tali rapporti venga ad cristallizzarsi ed ad approfondirsi nel corso del giudizio.

Gli intenti del legislatore sono lodevoli ma non si possono non nascondere alcune perplessità sul metodo e il contenuto della normativa sulla media-conciliazione.

In primo luogo desta dubbi la volontà del legislatore di voler promuovere la cultura della composizione amichevole dei conflitti in Italia imponendo l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione in diverse materie. La mentalità degli italiani, tra i più litigiosi d’Europa secondo le statistiche UE, non può essere cambiata solo e unicamente disponendo la vincolatività del tentativo di mediazione. Difatti non è la prima volta che il legislatore impone con legge alle parti di una controversia l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione. L’esempio più eclatante è costituito dalla disciplina del processo del lavoro, in cui era previsto l’obbligo del tentativo di conciliazione tra le parti come condizione di procedibilità dell’azione giudiziale. Tale obbligo è stato di recente eliminato[9], in quanto il tentativo di conciliazione era ormai diventato un mero adempimento burocratico da espletare frettolosamente per poi accedere al giudizio in Tribunale. Non mi pare sufficiente per cambiare tale mentalità semplicemente imporre tale procedimento come obbligatorio e multare, come è stato recentemente legislativamente previsto[10], la parte invitata che, senza un giustificato motivo, non si presenti alla mediazione. È necessario, a mio parere, educare la collettività ad un approccio diverso ai conflitti promuovendo la cultura del dialogo e della comprensione degli altri. E questo in primo luogo deve avvenire attraverso la formazione dei bambini e dei giovani a tali valori nelle famiglie, nelle scuole e nelle università.

Inoltre, tra le materie in cui il tentativo di mediazione è stato reso obbligatorio, rientrano controversie che per la particolare tecnicità, delicatezza e complessità mal si conciliano con l’informalità, la sommarietà e la concentrazione del procedimento. Si pensia in primis alla responsabilità medica, contenzioso la cui gestione richiede particolari competenze tecnico sscientifiche che il mediatore generalmente non possiede[11]. È pur vero che questi può avvalersi della collaborazione di un mediatore ausiliario o di un consulente esperto in materia, tuttavia il procedimento di mediazione deve esaurirsi in un periodo non superiore a quattro mesi, che   difficilmente consente un esame approfondito eè accurato delle   problematiche tecniche e scientifiche sottese a tali controversie[12].

Non meno problematica è la disciplina dei requisiti di accesso alla qualifica di mediatore abilitato. Per ottenere il titolo di mediatore, come accennato, è sufficiente frequentare un corso di cinquanta ore e possedere un diploma di laurea triennale o essere iscritti ad un ordine o collegio professionale. La particolare tecnicità delle questioni giuridiche che possono essere oggetto del tentativo di mediazione, tuttavia, richiedono una preparazione giuridica che non può essere conseguita in un semplice corso di cinquanta ore svolto presso una camera di conciliazione. Il mediatore dovrebbe essere pertanto un soggetto con una preparazione giuridica di base che gli consenta almeno di comprendere le questioni legali oggetto della controversia.

Un ulteriore perplessità che desta l’esame della normativa sulla mediazione è costituita dalla mancata previsione nel corpus normativo dell’obbligo per le parti di avvalersi di un avvocato durante il procedimento di mediazione. Prevedere la presenza necessaria di un legale sarebbe stato opportuno, posto che le questioni oggetto della mediazione richiedono conoscenze e competenze tecnico giuridiche che le parti non possono normalmente possedere. Tuttavia, secondo le prime stime elaborate dal Ministero di Grazia e Giustizia, l’80% delle mediazioni ad oggi effettuate   hanno visto la partecipazione dei legali delle parti coinvolte[13].

Le contraddizioni manifestate dal testo di legge sulla mediazione hanno spinto gli organismi rappresentativi dell’avvocatura civile italiana a presentare ricorso alla Corte Costituzionale. Le doglianze oggetto del ricorso riguardano in particolare la previsione dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione nelle materie di cui l’art.5 del D.Lgs. 2010 n. 28 , che violerebbe pertanto l’art.24, I comma   della Costituzione che prevede che «tutti possono agire in giudizio per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi»[14].    

I dati ad oggi disponibili dimostrano un modesto accesso a tale strumento. Sono state presentante nel secondo semestre dall’entrata in vigore della legge, secondo i dati del Ministero di Grazia e Giustizia, 53.000 mediazioni a novembre 2011, con un aumento rispetto al primo semestre che ne registrava 33.808[15].  Tuttavia il 60% dei tentativi di mediazione effettuati ha avuto esito positivo[16]. La cultura della composizione amichevole dei conflitti è pertanto quindi ancora ben lungi dall’essere penetratae nella società italiana, sebbene sia non si possa non rilevare il numero incoraggiante il numero delle mediazioni che si concludono con un accordo delle parti.    

In definitiva la normativa sulla mediazione apre certamente degli scenari affascinanti nel complesso quadro della giustizia italiana, pur tuttavia manifestando aspetti critici altresì diverse criticità  che il legislatore dovrà non potrà non affrontare in futuro.

 

SERGIO BARBARO



[1] Pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» n. 53 del 5.3.2010.

[2] Pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» n.180 del 4.11.2010.

[3] Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008   relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, pubblicata in «Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea» del 24.05.2008, disponibile in rete su  http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2008:136:0003:0008:IT:PDF .

[4] Per un approfondimento sulla normativa si veda il numero monografico di «Ventiquattrore Avvocato», Mediazione e conciliazione, 1 Aprile 2011.

[5] Il tentativo di mediazione è già quindi obbligatorio in tutte le materie elencate tranne che per la responsabilità civile e per il condominio: per queste materie cui  il tentativo di mediazione diventerà obbligatorio da fine marzo 2012.

[6] Si veda l’art. 6 D.M. 180/2010.

[7] Si veda l’art. 16 D.lgs 4 marzo 2010 n. 28.

[8] «Al 30 giugno 2011 l’arretrato da smaltire ammontava a quasi 9 milioni di processi: 5,5 milioni per il civile e 3,4 milioni per il penale», dati tratti da M. Clarich, «Guida al diritto», 28 gennaio 2012, n. 5 p. 10.

[9] Con la legge 4 novembre 2010, n.183 pubblicata nella «Gazzetta Ufficiale» 9 novembre 2010, n. 262.

[10] Così è stato previsto dal recentissimo Decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212 «Gazzetta Ufficiale» 22 dicembre 2011, n. 297 all’art.12   che ha modificato l’art.8 del D.Lgs sulla media-conciliazione il cui testo attualmente afferma: «Con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui all’art. 5, comma 1, il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio». Tuttavia sembra probabile che tale disposizione verrà eliminata nei prossimi mesi. Sono stati già approvati difatti dalla Commissione del Senato diversi emendamenti al testo sulla mediazione, tra cui l’eliminazione di tale sanzione.

[11]Le stessa considerazioni sono state espresse recentemente   da: M. Marinaro, In materia di responsabilità medico-   sanitaria serve la figura professionale dell’intermediator, «Guida al Diritto», 7 gennaio 2012 , inserto, n. 2, pp. 7ss.

[12] Sul punto si veda sempre ibid. pp.8ss.

[13] M. Clarich, «Guida al diritto», cit., p. 10.

[14] Per un approfondimento sui ricorsi di legittimità costituzionale sollevati dagli Organismi Unitari dell’Avvocatura si veda: L. Cameriero, Gli interrogativi ancora aperti sulla media conciliazione e le sue potenzialità, in  «Ventiquattrore Avvocato», Mediazione e conciliazione, numero monografico, 1 Aprile 2011, p. 6.

[15] Si veda M. Clarich, «Guida al diritto», cit., p. 10.

[16] Ibid.

La conciliazione è uno strumento che spinge le parti di una potenziale controversia giudiziale a tentare di raggiungere un accordo amichevole prima di intentare una causa; è importante soprattutto per i conflitti che riguardano i rapporti di fiducia e di famiglia

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