La malattia di Kawasaki

Nostro figlio Giulio di due anni ha avuto febbre alta per diversi giorni, occhi arrossati e mani e piedi gonfi, macchie tipo morbillo su tutto il corpo. Per questo motivo il pediatra ci ha consigliato di ricoverarlo. La diagnosi è stata malattia di Kawasaki. Siamo preoccupati perché ci hanno riferito che, nonostante per ora tutto sia tornato a posto, in qualche caso questa patologia può dare problemi al cuore. Lei cosa ne pensa?. Giulio e Anna – Como La malattia di Kawasaki è stata scoperta quasi cinquant’anni fa, ma ancor oggi si discute sulla causa che la determina, anche se sembra probabile essa sia il frutto di qualche infezione (ancora non si capisce quale) insieme ad una certa predisposizione genetica. Coinvolge 15 bambini ogni 100 mila di età inferiore ai 5 anni, interessando i vasi di numerosi distretti (vasculite sistemica). È proprio l’interessamento dei vasi arteriosi che determina in un caso su quattro una patologia delle coronarie con conseguente potenziale danno cardiaco. Si manifesta con molti dei sintomi che lei ci ha descritto per suo figlio: febbre alta per diversi giorni, arrossamento delle congiuntive degli occhi, ingrossamento dei linfonodi, gonfiore (edema duro) delle mani e dei piedi qualche volta accompagnato da arrossamento (eritema) del palmo, infiammazione della mucosa della bocca e della lingua, arrossamento diffuso con puntini rossi della cute (tipo rash del morbillo o della scarlattina), in un certo numero di casi una precoce dilatazione patologica (aneurisma) dei vasi coronarici. Dal quadro clinico e dai dati di laboratorio che testimoniano un notevole aumento dei globuli bianchi, delle piastrine e degli indici di infiammazione, la diagnosi si desume con discreta facilità, anche se talora sono presenti solo una parte dei sintomi sopra descritti. La terapia che si pratica è con immunoglobuline ad alte dosi per via endovenosa e aspirina. I problemi di vascuolopatia coronarica regrediscono generalmente con la terapia. Se avviene una completa guarigione clinica e dei dati di laboratorio, con assenza di complicanze (cosa che generalmente accade quando si inizia una terapia prontamente, come nel suo caso!) non vi saranno limitazioni alla vita futura del bambino. Un monitoraggio ecocardiografico è indicato nelle prime 8 settimane e poi almeno ogni 3-5 anni anche in assenza di complicanze (vedi linee guida dell’American Heart Association, 2004). Il mio consiglio è quindi di fare i controlli ma mi sembra che tutto deponga a favore di una completa e positiva risoluzione del problema. Colgo la sua domanda anche per ribadire i semplici consigli sulla febbre altre volte da me trattati più ampiamente. Ciò che bisogna guardare in un bimbo con febbre modesta (inferiore ai 39°) sono le condizioni generali. Se queste sono buone l’episodio può essere tranquillamente gestito dai genitori. Come? Con i vecchi rimedi della nonna: latte caldo ben zuccherato e bere di più, se occorre utilizzando la mai superata tachipirina, tante coccole e una bella storia da raccontare o leggere insieme. La febbre nel bimbo con meno di 6 mesi, il persistere dell’iperpiressia per più di 48 ore, la comparsa di sintomi strani e persistenti (un po’ come nel caso di Giulio), richiedono invece che il pediatra venga prontamente consultato. In effetti i dati sul crescente utilizzo degli accessi al pronto soccorso, i ricoveri in pediatria per malattie che potrebbero essere curate a domicilio (circa il 40-70 per cento dei ricoveri), l’eccesso di prescrizioni di farmaci, sono alcuni degli indicatori che ci testimoniano come per molti versi oggi in Italia vi sia un eccesso di ricorso alle cure pediatriche, con un significativo aumento della spesa e soprattutto con la crescita di patologie a loro volta determinate da un cattivo uso dei medicinali. Quali le responsabilità del mondo pediatrico? Quali quelle delle famiglie? Cosa si può fare? Ci lasciamo con delle domanda: qualche proposta in una prossima rubrica!

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