La mala educaciòn

Non è un capolavoro, l’ultimo film di Pedro Almodòvar. Anzi, sembrerebbe più un passo indietro rispetto alle prove precedenti di Parla con lei o, ancor meglio, di Tutto su mia madre. Pedro immagina qui una storia ad incastri basata su una vicenda pedofila in un collegio salesiano nella Spagna franchista. Una storia di soli uomini, vittima dell’anelo, cioè del desiderio irrefrenabile che spacca l’interiorità di chi ne è succube e rende quasi insopportabile la vita. Con il suo stile barocco e melodrammatico, il regista esplora ancora una volta le proprie ossessioni e fantasie, raggomitolandosi su sé stesso, senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già detto sull’argomento – e molto meglio – in precedenza. Manca questa volta una confluenza dei consueti elementi in una visione che travalica i confini del proprio mondo… per farsi… comunicazione ed emozione universale, per parlare a tutti, come ha annotato su la Repubblica (del 9.10 ndr) Paolo D’Agostini. Sembra che Almodòvar non riesca a distaccarsi emotivamente dalle proprie e altrui fragilità, pur in un esercizio di stile sempre di classe (basti vedere gli attori come Gael Garcia o l’inizio del film coi titoli immaginifici), ma algido e dal sentimento molto amaro. Opera chiusa su sé stessa, in cui l’indagine sulla Spagna franchista e sul clero appare forse politica, dato che il film – come notato da la Repubblica – lascia l’impressione di un suo personale e vendicativo regolamento di conti con la chiesa, nonostante il regista abbia dichiarato il contrario. Ma quello che più sconcerta in un autore tanto geniale è la paura di osare, di continuare l’indagine sull’esistenza che aveva intrapreso in modo universale. Così che il film sembra alla fine parlare solo di morte e della irrimediabile fragilità umana.

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