La lunga marcia

Un dolore pacato che chiede accoglienza e rispetto.
Cinesi

Margherite gialle e bianche. Sono i fiori che i cinesi offrono ai defunti. Sono fiori fragili, come fragili erano le vite di Zhou Zheng e della figlia Joy, di nove mesi, uccisi in un tentativo di rapina da due cittadini di origine magrebina. Più di cinquemila cinesi hanno sfilato per le vie di Roma denunciando la violenza e chiedendo sicurezza e pace. Per la prima volta la comunità ha chiuso negozi e ristoranti per manifestare il proprio dolore in massa. Le grida composte sono una lamentazione. Le dichiarazioni dei rappresentanti provenienti da Milano, Napoli, Prato non sono intrise di odio. Gli sguardi non indagatori cercano la comprensione dei pochi italiani presenti.

 

Si solleva la questione della sicurezza dell’imprenditoria cinese e si solleva il velo su una realtà più vasta di attacchi, pressioni, taglieggiamenti, rivolti in particolare alle comunità etniche più attive sul piano economico e che continuano a osare nonostante la crisi. «I cinesi sono chiusi», è il leitmotiv che li riguarda; questa marcia imponente sembra aver aperto uno spiraglio sul loro mondo. Questo dolore lacerante deve trovare accoglienza e risposte di giustizia nel nostro Paese, perché la breccia non si richiuda.

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