La luce di Vermeer

La prima rassegna italiana sull’artista olandese. Dieci opere a conoscere uno straordinario pittore di interni, e di donne.
Ragazza col cappello rosso

Non c’è in mostra la celebre Ragazza con l’orecchino di perla. Troppo fragile per farla venire qui, come altre opere – ne sono rimaste solo 35 in tutto – di Johannes Vermeer che in 43 anni di vita (muore nel 1675) fa tuttavia in tempo a creare un’arte fra le più originali della storia europea. Ma le otto tele arrivate da tutto il mondo a Roma, insieme al folto gruppo di opere di artisti contemporanei – a contorno e approfondimento – basta a farci entrare in una intimità domestica, che è poesia di affetti trepidi, di colloqui riservati, di interni luminosi.
Ecco, la luce. Se è vero che ogni uomo ha la sua via nella vita, è altrettanto vero che ogni artista possiede la “sua” luce.
Quella di Vermeer sa di nebbie lontane, di albe pallide, di raggi che entrano da una finestra a far splendere una stanza ammobiliata con gusto, dove uomini e soprattutto donne vivono la dimensione delle piccole cose che contano: una lettera, un cembalo, un bicchiere di vino, e di mestieri umili e intensi: una lattaia, una ricamatrice. Ci si apre un mondo per noi lontano, da ritrovare o riscoprire forse nella sua palpitazione affettuosa, libera da eccessi, in un racconto di poche persone, fatto più di sottintesi e di silenzi che di parole gridate o dette ad alta voce.
 
Gli interni sono come le strade di Delft, la città del pittore. Ordinati, sobri. La tela appunto della Strada di Delft (Amsterdam, Rijksmuseum) vede le case di mattoni rossi alte, grandi finestre, un albero di glicini sporgersi da un tetto come una cascata, e le donne al lavoro. Una cuce sulla soglia di casa, un’altra lava all’interno della stradina. Un sentimento che diremmo “pascoliano” della vita laboriosa della gente umile e semplice. Il pennello di Johannes accarezza cose e figure, e la luce ci appare come filtrata attraverso un vetro, che la rende chiara e vellutata al tempo stesso.
Questa pennellata crea bagliori di gioia discreta: il rivolo di latte nel vaso di una lattaia, la brocca della ragazza che sta aprendo una finestra, il filo dorato sui bordi di un ricamo, le lettera della giovane in giallo e azzurro. Colori tersi, che contengono in sé la luminosità della vita.
È come se il cielo entrasse nelle stanze dove vivono e agiscono queste persone, sotto forma di luce che dà loro calore, esalta il pudore dei sentimenti e dà sapore a quel senso di attesa che rende l’arte di Vermeer così originale. Diversa da quella degli artisti contemporanei, così espliciti, che dicono tutto e subito. Johannes possiede la discrezione della musica. Le due signore davanti ad una spinetta che ci guardano in attesa di un cenno di risposta, hanno appena finito di suonare o stanno per iniziare? Vibra nella stanza dal chiaroscuro morbido l’attesa di un suono, di una melodia che si sparge nel cuore prima che nell’orecchio, già eseguita o che sta per aprirsi. Non importa. Quello che a noi è sufficiente è la naturalezza di questa sospensione nelle creature di Vermeer. Esse sanno aspettare. Questa infatti è un’arte che non ha fretta, anzi, è discrezione, delicatezza. Di un realismo mai aggressivo o descrittivo, ma attento, in attesa di essere compreso e amato. La Ragazza col cappello rosso di Washington, viva immagine di rossi, blu trascoloranti, è fatta di luce. Scintillano gli orecchini, il colletto candido e lo sguardo timido ad un personaggio sconosciuto. Poeta di sottintesi, del dire e non dire, Vermeer costruisce la figura con una luce piena senza essere ricca, e non dimentica il corpo. Solo che lo rende lieve, senza peso. Questa è un’arte raffinata. Come la veduta di Delft, che sembra una foto quieta di un borgo olandese sotto un cielo indistinto. Ma, se si guarda bene, è come le creature di Vermeer: belle, per il semplice fatto di esistere, nella naturalezza della luce.
 
Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese. Roma, Scuderie del Quirinale, fino al 20/1 (cat. Skira).

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