La lezione di Fukushima

Brevi, schematiche e provvisorie riflessioni, dopo il terremoto e lo tsunami in Giappone
Fukushima

Il nucleare fa paura. Probabilmente la paura è in buona parte dovuta all’utilizzo iniziale di questa forma di energia come bomba atomica, proprio sul Giappone, 66 anni fa. Da allora ogni persona ha visto almeno una volta il fungo innalzarsi sinistro, con la distruzione e le malformazioni conseguenti. Il sisma e il maremoto in Giappone hanno messo in ginocchio un intero Paese, distruggendo città e villaggi, danneggiando dighe, centrali idroelettriche e chimiche, industrie e trasporti, eppure gli occhi di tutto il mondo sono fissi solo sui reattori di Fukushima e sull’inquinamento radioattivo che, portato dai venti in quota, potrebbe varcare gli oceani e arrivare ovunque. Contro la paura non c’è ragionamento che tenga.

 

Il nucleare è pericoloso, a lungo termine. Le conseguenze di un forte inquinamento radioattivo vanno oltre la capacità d’immaginazione, di resistenza (e di vita) di un essere umano, in quanto possono durare millenni. Una zona fortemente contaminata va abbandonata per sempre e non possiamo rischiare di rendere inabitabili ampie zone del pianeta. Ma anche nella gestione normale, garantire la sicurezza delle centrali e la gestione delle scorie non è facile, richiede uno stato “forte”, ben organizzato, centralizzato e stabile. È bene anche sapere che nella vita quotidiana siamo comunque sottoposti a tre fonti di rischio: la radioattività naturale del nostro pianeta, variabile da località a località; la radioattività medica, ad esempio la radiografia di un dente; l’inquinamento da centrali nucleari, normalmente basso ed equivalente ai precedenti. Conviviamo con queste sorgenti radioattive sapendo che non esiste un livello minimo sicuro: una singola particella, emessa da un singolo atomo radioattivo, colpendo un singolo elemento del dna di una singola cellula, può causare una mutazione cancerogena. Un discorso a parte vale per le bombe atomiche possedute da molti stati: chissà che la tragedia in corso non acceleri anche lo smantellamento degli arsenali nucleari preparati per irrazionali e devastanti guerre fratricide?

 

È finita l’era dell’energia abbondante e a basso costo. Le nostre società moderne sono affamate di energia, ma nessuna fonte è senza controindicazioni. Probabilmente ci sarà ora una lunga moratoria nella costruzione di nuove centrali nucleari, per lo meno finché non ne verrà ridiscusso il progetto alla luce del cataclisma giapponese: anche quelle di ultima generazione, infatti, forse non avrebbero retto completamente, pur con le sicurezze “passive” (cioè dipendenti solo dalla forza di gravità e non dall’intervento umano) che le contraddistinguono. D’altro lato, il costoso petrolio contribuisce al riscaldamento globale, mentre il carbone è un killer silenzioso per l’emissione di microparticelle che ci avvelenano lentamente. Fotovoltaico, eolico e geotermico possono realisticamente contribuire oggi con percentuali molto diverse da paese a paese. Il gas arriva da regioni socialmente turbolente e dovrebbe essere usato per il riscaldamento domestico più che per le centrali. In ogni caso i costi aumenteranno e chi, come l’Italia, non ha risorse proprie, faticherà ad approvvigionarsi. L’era dell’energia abbondante e a basso costo è forse finita, perlomeno finché nuove fonti, insieme con modalità innovative ed efficaci di risparmio, non saranno introdotte su larga scala.

 

La fame è più forte della paura. Vedere un Giappone senza energia elettrica, con fabbriche chiuse, trasporti fermi e luci spente, è uno shock. Una delle nazioni più efficienti e moderne rischia di fermarsi, regredendo in certe zone a stili di vita preindustriali. Negli Stati Uniti gli allevatori guadagnano di più se vendono le coltivazioni per farne carburante per autotrazione invece che per cibo. In Puglia alcuni contadini tagliano gli olivi (la Comunità europea non li finanzia più) per coprire i campi con distese di pannelli fotovoltaici (i finanziamenti regionali sono molto convenienti). Si discute se e quanta superficie di campi coltivati può essere coperta da pannelli. Viene prima il bisogno di energia o la disponibilità di cibo? Nel decidere il giusto mix di energie, industrie e coltivazioni, ogni stato avrà bisogno di molta saggezza e lungimiranza. E tutti dovremo adattarci ad una nuova sobrietà e solidarietà gli uni con gli altri, se vogliamo evitare crescenti disordini sociali.

 

Muro contro muro sull’energia. Nel dibattito che si è sviluppato nel mondo a seguito dell’incidente di Fukushima, colpisce l’assoluta rigidità delle posizioni di molti, politici in testa. Gli stessi discorsi di trent’anni fa, dopo Chernobyl: chi è pro nucleare rimane pro, chi è contro rimane contro, senza dubbi o apertura. Invece il problema energia non si risolve né privilegiando (ideologicamente) questa o quella sola fonte di energia, né operando a livello di singolo stato. È tempo che siano gli organismi internazionali, come l’Unione Europea, a farsi carico di strategie energetiche coordinate per le varie zone, con investimenti e controlli conseguenti. Ma per questo dovremo abituarci a dialogare e collaborare di più, anche al di fuori dell’emergenza. Se non lo faremo di nostra iniziativa, saremo costretti a farlo dagli eventi.

 

Tutto di tutti. Non sono solo la temuta nube radioattiva o le ricadute economiche e commerciali a rendere globale ciò che accade in Giappone. Il terremoto e lo tsunami sono stati vissuti in tutto il pianeta minuto per minuto grazie alla tv, ma soprattutto alle comunicazioni digitali e a Internet, tutto in diretta come non mai. Un unico villaggio globale, temendo, soffrendo (e pregando) insieme.

 

Un futuro incerto. In tempi in cui l’incertezza per il domani regna sovrana, soprattutto nei pensieri dei giovani, la compostezza e la dignità dei giapponesi in questo duro frangente sono stati una lezione per il mondo. Una giovane di Tokio, nella devastazione del terremoto rifletteva a voce alta: «Dobbiamo imparare a convivere con la natura e aiutarci». Parole che indicano coscienza della nostra piccolezza davanti ai fenomeni naturali, abbandono dei trionfalismi tecnologici, ma anche tenacia e voglia di costruire il futuro, insieme. Un futuro incerto, che passa anche per le parole dell’imperatore del Giappone, in una rara apparizione alla tv: «Prego per il mio Paese».

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