La fine è il mio inizio

Dal libro omonimo di Tiziano Terzani, un film appassionato e commovente.
La fine è il mio inizio

È raro che un film tratto da un libro mantenga lo spirito fedele a chi l’ha scritto. La parola e l’immagine, le leggi della comunicazione visiva e di quella scritta possono anche non capirsi e non incontrarsi. Non accade invece nel film che Jo Baier ha diretto traendolo appunto dal libro omonimo di Tiziano Terzani. Bruno Ganz ed Elio Germano sono infatti riusciti a reggere il peso di una storia, che è storia di una vicenda interiore e non solo esterna, molto personale, con totale immedesimazione. Si confermano entrambi attori di straordinario talento. Se per Ganz non avevamo bisogno di conferme, Germano, abituato ultimamente a ruoli troppo irti e sempre uguali, qui invece si cala perfettamente nella parte di Folco, il figlio di Tiziano, confermandosi forse il miglior giovane attore italiano di oggi.

 

Il film rievoca, con dialoghi intensi tra padre e figlio, le grandi tappe della vita di Tiziano. Dalla povertà dell’infanzia, alla curiosità insaziabile che l’ha portato ad esplorare la Cina e il Vietnam e poi il mondo, portandosi dietro la moglie fedelissima e i due figli, fino agli ultimi mesi, dopo un soggiorno sulle pendici dell’Himalaya, nella casa sui monti toscani dove è morto nel 2004.

 

Le riflessioni che i film intreccia, con andamento teatrale, amplificandole con una fotografia luminosa della natura, altamente poetica, pongono lo spettatore – una volta tanto – di fronte ai grandi interrogativi della vita: soprattutto di ciò che vale vivere e di come morire e se davvero la morte sia la fine di tutto. È singolare come il film risulti leggero, appassionato, semplice nel delineare il rapporto padre-figlio nei risvolti anche conflittuali ma sempre pieni di affetto. Delicatissimo l’amore tra Tiziano e la moglie, soli nel momento così sereno del trapasso. Un film del genere può anche commuovere e fa sentire meglio dopo averlo visto. Speriamo in sala abbia il successo che merita.

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