La festa della scienza

Forse la scienza è nata di notte. Quando, qualche millennio fa, qualcuno s’è messo seduto su un masso, col naso all’insù, a contemplare il firmamento stellato. Ed è rimasto affascinato dal movimento impercettibile degli astri lucenti, dalle sorprendenti geometrie delle costellazioni. Ovviamente, allora c’erano meno distrazioni. Non c’era la tv a disperdere le serate, né la luce elettrica a vivacizzare le città. Così, per chi era curioso, il cielo era tutto suo nelle notti piacevoli che s’estendevano dall’Egitto all’Iraq, regioni benedette da un clima clemente. Forse la scienza è nata di giorno. Quando i nostri antenati hanno colto il segreto dell’energia sovraumana che emana il cerchio del Sole, fino ad adorarlo come un dio potente; ed hanno visto nella terra, nell’acqua, nell’aria e nel fuoco gli elementi essenziali per sostenere la vita. O quando hanno imparato a far muovere un carretto costruendo le prime ruote e scavato tronchi d’alberi per farne imbarcazioni. O quando hanno imparato a misurare i confini dei terreni cancellati dalle inondazioni – celebri quelle del Nilo – inventando appunto la geometria, la misurazione (metria) della terra (geo). Certo è che dagli albori del mondo, quando s’è acceso il primo barlume di scienza nella mente umana, esso non s’è più spento. Da allora l’uomo è scienziato. Continua ad essere affascinato dal mistero, e si ostina a volerlo comprendere. Non smette di porsi delle domande. Ogni bambino che viene alla luce è un piccolo ricercatore: con i suoi occhi, manine, urli, passetti incerti, fin dall’inizio esplora e interroga il mondo e, giocando, lo misura e lo scopre. Allo stesso modo, ogni scienziato ha qualcosa della curiosità dei bambini: non solo, a diffe- renza degli altri adulti, pensa ancora di non saperne abbastanza su ciò che lo circonda, ma si diverte a decifrare le cose del mondo. Diceva Einstein: La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero; sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza. Questa profonda emozione l’ha regalata Genova. Per 13 giorni infatti – dal 27 ottobre all’8 novembre – la città di Colombo è diventata capitale del mondo scientifico, inaugurando la terza edizione del Festival della Scienza. Quasi 250 eventi in 70 siti diversi: un programma ricchissimo di mostre, laboratori, spettacoli, film, eventi speciali con tanti ospiti illustri. Tutto per offrire un’esplorazione, la più completa possibile, del mondo della scienza: dalla fisica alle neuroscienze e alle biotecnologie, dalle frontiere del pianeta Terra a quelle del cosmo, fino alle frontiere tra scienza e non scienza. Un evento divulgativo, ideato appositamente per far toccar con mano ai profani gli ambienti e i metodi su cui lavorano fisici, neuroscienziati, matematici, biologi e antropologi. Un Festival che ha voluto dire quello che la scienza è, anche se di solito non pare così evidente. Perché la scienza è poesia. Tra queste due espressioni dello spirito umano non c’è guerra; anzi, come affermava il poeta beat Allen Ginsberg, lo scienziato è un vero poeta: ci dà la luna, ci promette le stelle, ci farà un nuovo universo se sarà il caso. Perché la scienza è gioco, magia. E la passione di molti per l’illusionismo è stata soddisfatta con le affascinanti esibizioni di Scienza magica o gli spettacoli di Circoscienza. E perché la scienza è fantasia. Infatti la fantasia è quasi più importante della conoscenza, quando si entra nel mondo dell’invenzione. Ricordate Talete? Ebbene, lui, originario di Mileto -oggi in Turchia – era un grande saggio dell’antichità. In una sua gita in Egitto nel sesto secolo a.C. alcuni scienziati locali, per metterlo alla prova, lo sfidarono con un problema che turbava gli egiziani dell’epoca. Lo portarono a visitare quella costruzione mozzafiato che è la grande Piramide di Giza e gli chiesero, ironicamente, se era in grado di misurarne l’altezza con il metro (o meglio, la stadia), che era il solo strumento di misura allora disponibile. Talete non batté ciglio: con un colpo di fantasia ebbe l’idea di calcolare l’altezza del grande edificio misurandone l’ombra proiettata sulla sabbia dorata del deserto. Il Festival di Genova è stato un grande successo di pubblico, anche perché la scienza è stata presentata nelle sue forme più svariate, nel tentativo di soddisfare tutti gli appetiti… scientifici. L’esibizione 100 Soli mostrava le immagini delle esplosioni nucleari, raccolte dal fotografo Michael Light, che documentano l’impressionante disastro provocato dagli effetti degli oltre 200 test nucleari eseguiti dagli Usa nel deserto del Nevada e nel Pacifico a partire dal 1945. La mostra Acqua, Aria, Terra, Fuoco proponeva un percorso che, attraverso esperimenti interattivi e opere d’arte contemporanea, indaga le connessioni tra i quattro elementi vitali. Ci si poteva poi addentrare nel laboratorio Alla ricerca del tempo perduto per capire come gli antichi misuravano il tempo e costruivano le meridiane. Assaporando i ritmi d’una vita ormai cancellata dalla frenesia contemporanea. Ci si poteva improvvisare biologi molecolari; oppure tentare d’addestrare una popolazione di robot simulati al computer; o cercare di ricostruire il mondo all’epoca dei dinosauri; o scandagliare i segreti della meteorologia. O immergersi nelle problematiche legate alle applicazioni terapeutiche delle cellule staminali; o azzardare un viaggio nello spazio, fra i misteri delle galassie e dei buchi neri. O ragionare su come si forma la schiuma in un boccale di birra; o anticipare i percorsi che porteranno gli astronauti verso Marte. O vedere come opera la Polizia scientifica; o come il corpo umano si può adattare a vivere in condizioni estreme. O capire se è possibile cuocere un elefante in un forno a microonde sufficientemente grande. O scoprire quali leggi della fisica regolano i passi del tango argentino; o come ci si può truccare e acconciare all’egiziana. O intravedere le formule matematiche che intrecciano i nodi dei marinai o le forme dei petali dei fiori… Davvero, ce n’era per tutti i gusti! Ma, in un angolino, v’era uno spazio dedicato a quello che – dopo aria, terra, acqua e fuoco – è stato definito dal regista Luc Besson, il quinto elemento. Cioè l’amore. Che è simile all’aria, per la sua impalpabilità; che ha a che fare con l’acqua, per la sua purezza ed anche perché probabilmente è nell’acqua che ha avuto origine l’esistenza; che è terra, perché è sempre impastato di travaglio di vita; che è fuoco di passione. Ma certamente è molto, molto di più… Nonostante i progressi della psicologia, della fisiologia e della neurologia l’amore sembra, nella sua essenza, continuare a sfuggire alla comprensione umana. Forse perché le sue radici stanno proprio là, dove affonda le sue radici l’uomo. Cioè, in Dio. Per questo l’amore rimane un mistero, che anima tutti i moti dell’animo umano. Anche, ed in modo del tutto speciale, quello dello scienziato. Il grande matematico, astronomo e poeta persiano Omar Khayyam, scriveva: Tutte le gioie della vita sono per coloro che amano. Sii felice e non avere timore. Lo scienziato, che sa sporgersi su tutto ciò che è mistero, e dedica la vita a decifrare ciò che sembra non voler farsi afferrare dalla mente, sa certamente qualcosa delle gioie dell’amore. Anche per questo la scienza continua ad interessare tanti. Il Festival di Genova ne è stato una prova. Enorme successo del Festival della Scienza a Genova: 28 mila i biglietti venduti in prenotazione (il doppio rispetto all’anno scorso, che registrò 165 mila presenze), 34 mila le prenotazioni ai laboratori, 30 mila alle mostre. Il Festival ospita: 141 incontri, 39 mostre, 46 laboratori, 14 spettacoli teatrali, 32 film e documentari, 37 eventi speciali; oltre 200 le personalità del mondo scientifico intervenute. Di fronte a questo fenomeno, che conferma la tendenza sempre più diffusa a voler conoscere e sperimentare, gli organizzatori stanno già pensando a una Scuola europea per formare divulgatori scientifici, in modo da rendere l’evento più duraturo. La presidente del Festival, Manuela Arata, ha spiegato: Nascerà così una nuova figura con lo scopo di facilitare il dialogo fra scienza e società. Per insegnare agli scienziati a spiegare quello che fanno senza aver il timore di banalizzare e per addestrare giovani che potrebbero lavorare in futuro nei musei della scienza, nei festival, nelle scuole.

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