La farinata degli Alpini

Un fine settimana di solidarietà con varie iniziative per risollevare gli sfollati dopo il crollo del ponte Morandi

Un fine settimana culinario all’insegna della solidarietà per gli sfollati di Genova.  Sabato sono stati gli Alpini giunti da tutta la provincia di Genova, per «fare del bene e risollevare almeno il morale» degli sfollati e di tutto il quartiere di Certosa.

Con le loro tende e un forno a legna di 30 quintali portato con il carro attrezzi, fin dal mattino in 40 hanno cucinato focaccette, cuculli e farinata donati in omaggio a  chi passava, e che portato a “domicilio” ai commercianti. «È il codice d’onore degli Alpini occuparsi degli altri». Per gli sfollati «una giornata di festa, proprio nel primo giorno di clima autunnale». Domenica invece il cibo era multietnico, a cucinarlo sono arrivate le comunità del Cile, delle Filippine e Eritrea  presenti a Genova, che hanno presentato e distribuito sotto i gazebo di Via Fillak, abbelliti dalle bandiere dei Paesi delle tre nazioni, tanti piatti tipici della loro tradizione. Il menù era molto ricco, c’erano patate bollite e uova sode con salsa piccante, spaghetti di soia, riso alla cantonese, pollo con peperoni, carne e verdure in salsa piccante, una schiacciata di testaroli con carne, verdure e salsa di ceci piccante, torte di verdure e carne. E ancora tanti squisiti dolci, e buon vino.

Affollati i tavoli ai quali si è unito anche il Sindaco di Norcia, e naturalmente il presidente del Municipio della Valpolcevera Federico Romeo. Una due giorni di serenità nonostante il freddo e a tratti la pioggia. A Certosa poi duemila ragazzi si sono uniti ai rapper genovesi per il concerto “rap for the bridge” il cui ricavato è stato trasformato in buoni da spendere nei negozi del quartiere. Cinque euro il costo dell’ingresso un altro modo per aiutare i commercianti penalizzati dalla chiusura delle strade. Questi giovani hanno deciso di animare per un pomeriggio il quartiere e almeno per un paio d’ore sconfiggere l’isolamento. Tutti in strada, da dove è necessario ripartire. «Non ci interessava organizzare qualcosa in un teatro o nel centro di Genova, un messaggio dovesse partire da qui, da questo asfalto – dicono – oltre ai grandi nomi del rap si esibiscono giovani artisti del quartiere, ci sono perfino ragazzi che hanno dedicato canzoni alle vittime. Siamo tutti una cosa sola». Alle 22 tutti con le mani al cielo rispondono all’appello: una preghiera laica per chiedere una rinascita.

Tutti motivi per rimettere in moto questo quartiere le cui case sono sotto i pilastri di un ponte maledettamente crollato. E le abitazioni sono interdette da un’ampia zona rossa. Là dentro quegli edifici ci sono le abitazioni di centinaia di persone, chiuse dal 14 agosto. Là dentro c’è tutta una vita di sacrifici. Là dentro sono racchiusi ricordi, storie. Ma sono interdette perché quel che resta del ponte potrebbe crollare addosso.   Intanto verificato che i sensori posti sul ponte non danno segnali allarmanti  presto gli sfollati della zona rossa avranno a disposizione sei ore per poter liberare le proprie abitazioni. Saranno aiutati da operai con scale da traslochi, piattaforme mobili, camion e braccia. Sei ore potranno entrare in due per due ore, per tre volte. Ricorda  Sergio Gambino, consigliere delegato alla sicurezza che sta seguendo la partita dei rientri per il Comune. «A ogni nucleo familiare daremo 50 scatoloni, con il loro nome sopra. Loro da dentro casa potranno caricarli sulla piattaforma mobile fuori dalla finestra, che poi scenderà a terra. Lì ci saranno i volontari della protezione civile a caricare i camion. Il tutto verrà portato in un grande magazzino che un’azienda ha già messo a disposizione».

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