La diplomazia della misericordia

I nunzi apostolici nel mondo costituiscono una “strana” forma di diplomatici, rappresentanti di uno Stato-non-Stato come il Vaticano, spesso proprio per questo eletti decani del corpo diplomatico in un dato Paese

I nunzi apostolici nel mondo costituiscono una “strana” forma di diplomatici, rappresentanti di uno Stato-non-Stato come il Vaticano, spesso proprio per questo eletti decani del corpo diplomatico in un dato Paese, di solito modesti nella vita quotidiana e nell’esposizione di segni di noblesse, facilitatori della convivenza locale, difensori dei diritti umani, costruttori di ponti. In questo sono gli “ambasciatori del papa” nel mondo, del pontifex. Di solito i nunzi operano per brevi periodi in un Paese, tre anni è il lasso di tempo standard, ma talvolta la loro missione viene prolungata, soprattutto per la complessa situazione di una data regione, che richiede non poco tempo per essere capita.

Mons. Gabriele Caccia è stato per più di 8 anni – un periodo infinito per la diplomazia – nunzio in Libano, uno dei Paesi più paradossali e profetici al mondo, in quanto ancor oggi riesce ad essere esempio di convivenza di minoranze nel bel mezzo di un contesto, come quello mediorientale, che dice invece separazione, conflittualità, guerra. Al termine del suo servizio ha lasciato il Libano con un doppio appuntamento, la scorsa settimana: quello ufficiale, per gli addetti ai lavori e per le personalità, e quello dedicato invece alla tanta gente comune conosciuta. Nella basilica di Notre-Dame du Liban, ad Harissa, mons. Caccia ha invitato per una messa cattolici, cristiani, musulmani, drusi, atei, bambini e adulti, suore e laici… il “suo” gregge. Ha usato parole semplici, che tratteggiano il ruolo del nunzio secondo la tradizione della Chiesa e la spinta innovativa impressa da papa Bergoglio.

Ha lasciato ai presenti tre immagini legate alla fede dei libanesi, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso. Non a caso. «Al mare, dopo il tramonto s’alza un po’ di vento fresco, ma le pietre sulle quali si è seduti trasmettono al corpo il calore trattenuto dalla giornata»: cioè la fede che resta come un calore, la fede in Gesù Cristo mantenuta viva nonostante tutto. Fede che è «testimonianza della vita di Gesù nella vita di ogni cristiano». Per la dimensione ecumenica – in Libano coesistono 12 Chiese e 18 riti – ha proposto la metafora dell’arcobaleno: «Ogni colore ha la sua specificità, ma la luce appare vera luce quando tutti assieme si testimonia il Cristo risorto. Ogni presenza deve essere rafforzata, come ha detto Gesù, “che tutti siano uno”». Quindi ha coniato l’espressione «Chiesa arcobaleno» che in Europa non è proponibile, ma che da queste parti suona benissimo. Infine il dialogo interreligioso. Mons. Caccia ha detto: «Quando si ha sete, si scende al fiume, si uniscono le mani e si raccoglie l’acqua per poterla portare alla bocca e bere. Se le dita si allontanano, l’acqua scivola via in men che non si dica».

Bisogna restare vicini per poter bere l’acqua dissetante di Dio. Cosa che in Libano talvolta si riesce a fare: «Per questo il Paese è conosciuto come terra di dialogo, amicizia, rapporti islamo-cristiani. Per questo c’è la festa comune dell’Annunciazione, il 25 marzo».

Udendo queste parole, non ho potuto non ricordarmi di quando, il 17 settembre 2016, disse ai nunzi apostolici, indicando l’essenza del compito del nunzio: «La misericordia deve essere la cifra della missione diplomatica di un nunzio apostolico, il quale (…) deve possedere la ferma convinzione che la misericordia di Dio s’inserisce nelle vicende di questo mondo (…). Anche nell’ambito internazionale, essa comporta il non considerare mai niente e nessuno come perduto». Un uomo sostanzialmente di misericordia, che ha fiducia in Dio, che opera umilmente per cucire rapporti. E la nunziatura, secondo Bergoglio, ha da essere «la casa del papa (…), dove tutta la compagine ecclesiale possa trovare sostegno e consiglio, e le autorità pubbliche un punto di riferimento (…). Vigilate affinché le vostre nunziature non diventino mai rifugio degli “amici e amici degli amici”. Fuggite dai pettegoli e dagli arrivisti». In questo contesto il nunzio è colui che, prima di svolgere la sua funzione diplomatica, è colui che «sostiene e tutela, che è pronto a sorreggere e non solo a correggere, che è disponibile all’ascolto prima di decidere, a fare il primo passo per eliminare tensioni e favorire comprensione e riconciliazione».

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