La Chiesa della gioia secondo Francesco (Evangelii Gaudium)

Il papa traccia nell'esortazione Evangelii Gaudium il programma del suo pontificato. In 288 articoli invita la cristianità a riaprire il Vangelo e con esso ad «aprire le porte», senza formalismi e senza veli di tristezza alla gente, agli ultimi. Città Nuova inaugura oggi una serie di commenti, a questo documento, affidati ad esperti sui temi e sulle sfide che Bergoglio scrive ai cattolici e non solo
Il papa durante un'udienza in piazza san Pietro

Sorpresa: un documento sull’evangelizzazione incentrato sulla gioia. Non mi risulta che i trattati di missiologia mettano a tema la gioia. Un anno fa il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione si concludeva con l’offerta al papa di 58 “proposizioni” sull’argomento, materiale dal quale egli avrebbe dovuto attingere per una sua Esortazione apostolica. La parola gioia vi appariva due voltesoltanto, e in maniera del tutto insignificante. L’Instrumentum laboris aveva intitolava il capitoletto conclusivo: “La gioia di evangelizzare”, ma si trattava appunto di una chiusura indovinata e niente di più. Eppure il primo annuncio missionario, quello rivolto da un angelo ai pastore di Betlemme, fu un esplicito annuncio di gioia, anzi, di grande gioia: “Vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”. 

Nuova nella tematica, l’Esortazione è tale anche nel modo di esprimersi. Papa Francesco scrive come parla. Il primo capitoletto – “Gioia che si rinnova e si comunica” – più che leggerlo lo si ascolta, e si sentono le sue solite espressioni familiari del tipo: “Ci fa tanto bene tornare a Lui… Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia”. Anche quando affronta una serie di riferimenti biblici un po’ formali, non evita di trasmettere il suo sentire personale; citando il profeta Sofonia scrive ad esempio: “Mi riempie di vita rileggere questo testo”. Oppure, senza mezzi termini, con stile colloquiale, denuncia quei cristiani “che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”. Non rinuncia neppure ad attingere, come suo solito,a esperienze personali passate e a confidare “le gioie più belle e spontanee” di cui è stato testimone. Ancora una volta si dimostra vicino alla gente, che capisce e dalla quale si fa capire. Sa comprendere anche “le persone che inclina­no alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire”.

L’esperienza e la vicinanza gli consentono di ritrarre fin dalle prime righe, senza inutili preamboli e in poche essenziali pennellate, un quadro di efficace contrasto tra la tristezza nel quale nuota tanta nostra gente e la gioia che caratterizza il seguace di Cristo.

Mi ha colpito l’aggettivo con cui ha colorato la tristezza: “individualista”; e la sua origine: una coscienza “isolata”. La tristezza si dimostra infatti figlia di una vita interiore che “si chiude nei propri interessi”, al punto che “non vi è più spazio per gli altri”. Paradossalmente, secondo papa Francesco, è proprio l’esclusione dei poveri a dare tristezza. Sembrerebbe vero il contrario. Eppure è proprio l’amore come apertura, come dono di sé, come “entusiasmo di fare il bene”- felice espressione -, che dà gioia.

Così, già dai primi numeri del suo scritto, papa Francesco manifesta in cosa consiste per lui la gioia: nel rapporto, nella comunione, a cominciare da Gesù, al punto da farne l’incipit dell’Esortazione apostolica: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”.

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