La buona lena di Vienna

Ciò che riacquista decisamente la priorità, nell’agenda dell’ecumenismo, è l’apertura disarmata all’azione dello Spirito Santo.
La cattedrale di Santo Stefano a Vienna

L’ecumenismo – la grande spinta ideale verso la piena unità che ha attraversato il secolo scorso, coinvolgendo cristiani di tutte le Chiese – sta cambiando di passo. Era da un po’ di tempo, in verità, che si avvertivano, sempre più decisi e impellenti, i sintomi di questo cambiamento. I tempi sembrano ora maturi.

Il fatto è che si tocca con mano una certa stanchezza tra i partners del dialogo, dopo i risultati promettenti e persino entusiasmanti degli scorsi decenni, insieme alla costatazione di una logorante lentezza nel procedere verso la definizione dei punti di convergenza nella dottrina e nell’azione. Ma ciò – ecco il punto –, più che scoraggiare, può esser letto come un invito a fermarsi un momento per chiedersi se non sia il caso d’imboccare ora un’altra strada per giungere alla meta.

 

Ci si può infatti porre la domanda se gli oggettivi ostacoli che restano e che anzi, per certi versi, sono oggi più nitidamente percepiti di quanto non lo fossero ieri, nel fervore degli inizi, non rallentino il cammino in modo forse anche provvidenziale. Perché non ci s’illuda di poter giungere all’unità secondo i nostri progetti, la nostra misura, i nostri tempi. L’unità, in definitiva, è dono gratuito e grande di Dio. Anche se bisogna far tutta la propria parte per poterlo riconoscere e accogliere, quando sarà venuto il tempo giusto.

In altre parole, ciò che riacquista decisamente la priorità, nell’agenda dell’ecumenismo, è l’apertura disarmata all’azione dello Spirito Santo. Il che chiede conversione continua e senza sconti dei cuori e delle menti, e perciò preghiera, ascolto sincero, reciproco impegno a mettersi nella pelle dell’altro, senso dell’attesa e grande pazienza.

 

L’ho sperimentato in prima persona a Vienna, nel corso della XII sessione del dialogo tra cattolici e ortodossi, lo scorso mese di settembre. Non si è giunti, alla fine dei lavori, all’approvazione di alcun documento (anche se si è lavorato di buona lena in questa direzione per il futuro), ma si è puntato a scavare nelle ragioni profonde dell’impegno ecumenico e dell’unità della Chiesa. Guardando negli occhi, ma con l’amore che sgorga dal Crocifisso, a ciò che ancora ci divide.

Quest’atteggiamento, che comincia a segnare il dialogo e a prometterne una nuova fase, è stato fotografato, in apertura dei lavori, dal cardinal Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna: «Dobbiamo parlare di ciò che il Signore fa oggi nelle nostre Chiese. Percepire insieme che cosa egli veramente ci vuole indicare: questo, sì, sarebbe un evento!».

La cosa è promettente. Se con fermezza teniamo la barra fissa su questa rotta, Dio ci sorprenderà.

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