La “pericolosità variabile” della Siria

Il senso perduto del Natale. La continua minaccia della guerra. Le iniziative dei giovani per le feste. A colloquio con Pascal Bedros del Movimento dei Focolari in Siria. Dal sito focolare.org
Siria

«La vita di ogni giorno varia, perché il pericolo è variabile. In alcuni giorni non succede niente e puoi dimenticarti che c’è la guerra. In altri giorni può succedere che quando vai al lavoro, tu venga colpito da pallottole vaganti, o che ci siano scontri in atto o addirittura bombe sulla gente e su quartieri civili». A parlare è Pascal, libanese, del Focolare di Aleppo, che vive in Siria da alcuni anni. Nonostante la guerra.

«Come ci stiamo preparando al Natale? Sia ad Aleppo, che a Kafarbo, che a Damasco, le nostre comunità hanno pensato soprattutto ai bambini, perché le famiglie, nonostante sia una festa importante e molto sentita in Siria, non riescono più a vivere la gioia del Natale. Così i giovani hanno fatto tante attività per raccogliere fondi che, uniti agli aiuti ricevuti dall’estero, hanno consentito di ampliare il loro progetto di ridare il senso del Natale ai bambini e alle loro famiglie. Ad Aleppo ad esempio si farà una festa per circa 70 famiglie, a Kafarbo si faranno visite alle famiglie nei bisogno in piccoli gruppi, portando doni e cibo. A Damasco, dove ci sono più potenzialità, i giovani hanno organizzato un concerto di Natale nella cattedrale maronita e una cena per 250 persone».

E in questi ultimi mesi, con l’escalation di violenza, voi focolarini non avete mai ripensato alla scelta di rimanere in Siria? «No, mai. È così importante la presenza del Focolare! Solo la presenza, anche senza fare niente. È un segno che tutto il Movimento nel mondo è con loro, con il popolo siriano. Non so come spiegarlo. Noi non siamo obbligati a rimanere, potremmo anche andarcene. Ma in questi anni abbiamo condiviso così tante peripezie che loro sentono che facciamo parte di loro e noi li sentiamo parte di noi. Le ragioni non sono razionali, ma affettive, del cuore, perché per trovare la forza di stare in posti come Aleppo, non c’è niente di razionale. Anche le famiglie siriane che rimangono lo fanno per il legame alla loro terra, alla loro gente, perché tutto potrebbe dire: vai! Lì giorno per giorno le cose si riducono sempre più, viene meno il futuro, soprattutto quello dei tuoi bambini. Ho visto che qualcuno rimane per una scelta d’amore, per dare testimonianza. Ad esempio per portare avanti una scuola per i bambini sordomuti, per tutto il bene che questa scuola fa. Vivere per gli altri, ti dà il senso dell’esistenza, dà senso al tuo essere».

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