Islam e democrazia

Intervista a padre Paolo Dall’Oglio, fondatore di Deir Mar Musa, monastero nel deserto siriano.
padre paolo dall'oglio

Alcuni accostamenti di tematiche guadagnano facilmente l’attenzione del pubblico: il binomio “Islam-democrazia” è uno di questi. Ma la sera dell’8 marzo all’Istituto Tevere di Roma l’interesse era facilitato, oltre che dal tema, anche dall’attualità che interessa i Paesi del Nord Africa e dalla figura del relatore, padre Paolo Dall’Oglio. Gesuita, romano, dalla presenza imponente e allo stesso tempo accogliente, padre Paolo è un uomo che ha fondato, o meglio rifondato, una comunità monastica in mezzo al deserto siriano, a Deir Mar Musa, che lavora per l’incontro ecumenico e interreligioso.

 

Per parlare di Islam e democrazia il sacerdote ha cominciato dalla presenza dei cristiani in Medio Oriente perché «le domande che la popolazione occidentale si pone quando pensa alla democrazia nell’Islam sono legate alla presenza cristiana in quei posti», per cui ci si chiede: «I musulmani sono capaci di creare una democrazia? E questa democrazia sarà pluralista o no?».

 

Considerando gli attentati di Baghdad ed Alessandria degli ultimi mesi, padre Paolo commenta: «Il mondo musulmano reagisce come un’unica comunità in sintonia con l’istantaneità dell’informazione», facendo riferimento all’attacco nella chiesa di Baghdad che era stato motivato con un mai chiaramente confermato rapimento di due donne egiziane che si erano convertite all’Islam. E continua: «Per quanto riguarda l’Egitto, i servizi segreti del regime di Mubarak avrebbero utilizzato una manovalanza di fondamentalisti estremisti musulmani per produrre nel mondo occidentale una reazione di paura e dunque favorevole allo status quo dittatoriale».

Ma tutto questo sistema che per anni è riuscito a rimanere in piedi giocando in Occidente sulla paura dell’Islam cosiddetto fondamentalista, del quale i vari leader che si erano imposti si presentavano come unico argine, è stato spazzato via in Tunisia e in Egitto. «Gli egiziani, cristiani e musulmani, sono scesi in piazza insieme per dire basta! Questi giovani – tunisini, egiziani e libici – vogliono avere libertà di coscienza».

 

Ovviamente bisogna fare attenzione a non generalizzare, e in questo Padre Paolo è particolarmente dotato: «Negli ambienti copti cattolici c’è stato in passato un progressivo degrado della stima religiosa dell’altro-musulmano, provocato anche dalla politica distruttiva di alcuni mezzi di comunicazione come la tv satellitare Al-Hayat, che istiga all’odio interreligioso. Lo stesso è accaduto anche da parte musulmana. Però – commenta con un sorriso – la nuova generazione sta lottando per emanciparsi da questa logica e dare il via a una nuova società».

 

Ed è proprio questo il punto sul quale tanti analisti si concentrano. Ora che Ben Ali e Mubarak se ne sono andati, cosa succederà? Che forma prenderanno i nuovi governi? Tante sono le domande che affollano la mente di chi guarda il Nord Africa da questa parte del Mediterraneo e, sicuramente, anche chi ci sta dentro. Padre Paolo delinea uno scenario possibile: «Abbiamo di fronte due visioni diverse e concorrenti di democrazia nei Paesi musulmani: da una parte la democrazia islamica salafita, che considera che il vero governo partecipativo da parte del popolo sia esclusivamente quello che obbedisce alla legge divina; dall’altra una rilettura delle fonti dell’appartenenza religiosa per permetterne una nuova ermeneutica che sia riconoscibile dagli altri Paesi come democratica e che sia, allo stesso tempo, armonizzata con la sensibilità islamica».

 

Considerando gli altri Paesi musulmani, il pensiero di padre Paolo va alla Turchia che egli considera come il possibile modello di ispirazione per i futuri governi nordafricani: «La crescita democratica della Turchia è avvenuta passando da una scelta secolare antidemocratica alla scelta democratica congiunta al sentimento islamico cosciente». Il punto di arrivo turco che ha lavorato sul coniugare le richieste democratiche alla sensibilità religiosa non è scontato e rappresenta una strada che i giovani nordafricani potrebbero seguire.

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