Islam Cristianesimo : una lettera di dialogo

Notizie dal mondo islamico: la Turchia elegge un musulmano osservante alla presidenza della Repubblica, mentre in Pakistan muoiono 140 persone per gli attentati contro Benazir Bhutto; i musulmani in Norvegia accettano la conversione dall’Islam al cristianesimo, mentre a Gaza e Mosul i cristiani sono nel mirino dei radicali… Segnali contraddittori. Ma la notizia a cui bisognerebbe dare spazio è forse un’altra: 138 leader spirituali islamici hanno indirizzato una lettera aperta (Una parola comune tra noi e voi) ai loro omologhi cristiani, papa in testa. Cosa dicono? Costatando che insieme musulmani e cristiani formano ben oltre metà della popolazione mondiale (…), il futuro del mondo dipende dalla pace tra di essi. Affermano inoltre che la base per questa pace e comprensione esiste già, ed è l’amore per l’unico Dio e l’amore per il prossimo. L’accoglienza riservata alla lettera -un anno fa preceduta da un’altra missiva di 38 leader – è stata in genere positiva, pur se prudente. A cominciare dal card. Tauran, a capo del dialogo interreligioso vaticano, e da padre Renaud, rettore del Pisai (Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica); ma anche da insospettabili intellettuali come il giornalista Giuliano Ferrara. Nel coro steccano ancora una volta due o tre ben noti fustigatori (musulmani) dei costumi e del pensiero (pure musulmani). Cosa pensare? Che i firmatari sono ancora pochi e troppo eterogenei, spesso espressione di esigue cerchie di intellettuali. O, ancora, che il discorso musulmano sull’amore è da sempre guidato da una certa ambiguità e che le parole della teologia possono anche essere belle e poetiche, ma che debbono essere seguite da atti concreti di tolleranza e rispetto. Che inoltre non vengono ancora affrontati gli spinosi problemi della libertà religiosa e dell’apostasia… Vero. Eppure come non cogliere l’atto di buona volontà di questa lettera? Come non tendere la mano a chi te la porge? Come non rendersi conto che bisogna dar voce a chi, all’interno dell’Islam, appoggia una visione dialogante dei rapporti tra religioni e tra Stati? Come non vedere, pur in una prosa teologica estranea al popolo, un tentativo di strappare lembi di folle musulmane all’influenza dei radicali? Riteniamo perciò che la mano vada tesa, in quello spirito di Assisi nel quale Benedetto XVI vede un modo di opporsi a ogni forma di violenza e di evitare gli abusi della religione usata come pretesto per la violenza.

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