Io perdono

Il moderno laboratorio artigianale di Giorgio è allineato in bell’ordine con tanti altri, alla periferia della cittadina. Si intravede lontano un campanile svettante sui tetti bassi, quasi essi volessero chinare il capo di fronte a tanta solennità. Un buon odore di resina e di vernice accoglie i clienti che si aggirano interessati, fra robuste tavole di rovere, mobili di ciliegio e pannelli di noce, pronti a trasformarsi in qualche libreria utile ed elegante. Pochi mesi fa, nell’accogliente studio di progettazione, c’era anche un lettino, dove si concentrava la poesia e l’amore di un giovane papà artista, che l’aveva ormai quasi completato in attesa del lieto evento. Ora, per trovare il lettino, occorre disturbare il placido sonno del nipotino di Giorgio, nonno imponente e serioso, ma capace di commuoversi al vagito del bimbo. I due figli di Giorgio lavorano entusiasti con il loro padre, tanto che, giunto alla pensione, si è convinto di poter far posto alla tenacia e alla creatività giovanile. Talvolta però dà loro ancora una mano, perché le commissioni sonoperò sempre tante e richiedono tempo: ogni lavoro, questo è il motto di Giorgio, deve essere svolto sempre come se fosse per la persona più importante del mondo. Era stato così anche per quell’imprenditore, che aveva commissionato un serie di lavori impegnativi. Da lui però avrebbe avuto delusioni e amarezze! Con il pensiero Giorgio rivisita i fatti passati, il lavoro svolto con la solita accuratezza, le ore rubate alla famiglia, per consegnare in tempo il lavoro per quel cliente, rivelatosi poi disonesto. Al primo sollecito di pagamento la risposta era stata vaga; ai successivi aveva ottenuto scanzonate rassicurazioni e Giorgio non aveva visto ricompensato il suo lavoro. Giorgio ricorda benissimo l’inquietudine di allora, quando doveva assistere alla Messa condividendo la preghiera con quell’uomo, sedutoqualche panca più avanti. Orgoglio, rabbia, amarezza si mescolavano sembrava gli bloccassero il respiro. Poi alcuni viaggi avevano occupato il debitore, del quale non aveva saputo più nulla. Un onesto lavoratore sente ribollirgli il sangue nelle vene, quando qualcuno approfitta della sua buona fede e della sua paziente benevolenza. Farsi giustizia? Quale via sarebbe stata più corretta seguire? Poi un giorno l’imponderabile accade. Una improvvisa malattia si porta via l’imprenditore, ancora in giovane età. Giorgio sente l’anima attraversata da sentimenti contrastanti. Una morte lacerante, una famiglia straziata… forse una vita disonesta punita? Su tutti, forte come sempre, mette ordine e sospira suo sincero ti perdono. Gli costa una grande fatica, come nessuna manovra di lavoro fino a quel momento sopportata, ma poi sente le spalle meno pesanti si accorge di cullare l’amarezza con un’Ave Maria, recitata sommessamente, lì, nel bel mezzo del laboratorio. Si mette in ascolto di ciò che gli passa per l’anima e intuisce che il perdono è un bagliore che ridimensiona l’orgoglio e rende più abitabile la propria anima e i venti che la attraversano. Un flash allora gli passa per la mente e richiama alla memoria le Parole di vita che lo hanno accompagnato per tanti anni, una fra tutte adesso, quella che ha mosso le acque stagnanti, che gli ha permesso di prendere il volo e perdonare: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Si guarda attorno: ogni angolo del laboratorio ha una storia e una fatica da raccontare, lì è la sua vita, lì stanno crescendo le aspirazioni e i progetti dei suoi figli. Che senso avrebbe depositare su quei mobili e quei macchinari, sui sogni futuri, il velo grigio e soffocante della vendetta? Mentre questo pensiero lo rassicura, ecco arrivare il nipotino. Giorgio lo prende in braccio, sereno e sente che la vita ha bisogno di questi atti di coraggio, per camminare verso un futuro che abbia il senso profondo della speranza.

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