India, le sfide che attendono il nuovo primo ministro

A pochi giorni dalla debacle del partito del Congresso che ha consegnato una vittoria schiacciante a Narendra Modi, tentiamo una prima analisi di quanto successo nel Paese
Narendra Modi

Non c’è dubbio che, nonostante fosse attesa, la vittoria di Narendra Modi è andata al di là delle previsioni, schiacciando il partito del Congresso in un angolo della politica indiana, come mai era successo in precedenza. Forse solo nel 1977, quando il plebiscito fu a favore del Janata party di Moraji Desai, il partito dei Nehru e di Indira Gandhi dovette fare i conti con una disfatta, dalla quale si riprese in breve tempo. Dopo tre anni Indira era di nuovo al potere. In questi giorni, il Paese sta cercando di metabolizzare la valanga Modi, con la Borsa di Mumbai che ha dato segni di entusiasmo finanziario, ma anche con le preoccupazioni delle minoranze, soprattutto musulmani e cristiani, per i trascorsi di Modi e del suo presunto ruolo nei conflitti fra indù e musulmani. Senza ombra di dubbio, il successo del Bjp, a distanza della cocente sconfitta di dieci anni fa, reiterata nel 2009, non è stato solo chiaro, ma eclatante. 

Il Bjp non solo ha stravinto a livello nazionale, ma ha consolidato il suo potere in vari Stati: Gujarat, Rajasthan, Madhya Pradesh, Maharashtra e Chhattisgarh, dove gli avversari hanno raccolto solo una manciata di voti. Ma la sua presenza si è fatta sentire non poco anche a mezzo degli alleati in Uttar Pradesh e Bihar, ed ha trovato una sua strada in Assam e Bengala occidentale. Il partito ha vinto al di là della questione castale sempre molto presente nelle tornate elettorali ed ha cancellato piccoli partiti spariti a causa proprio del ciclone Modi.

Come detto in un precedente articolo, il merito di un tale trionfo non è del partito, che dopo aver governato negli anni Novanta e nei primi anni Duemila era andato incontro a delusioni e a crisi di identità. Chi esce vittorioso dalle 16esime elezioni in India è proprio Modi, con la sua campagna elettorale, con la sua retorica e capacità di convincere la gente. Trovatosi a capo di un partito da anni sull’orlo del tracollo, il nuovo primo ministro ha saputo dare coraggio e una linea politica chiara, che parla a chi si occupa di business, alle famiglie, ma anche a chi tiene alla propria identità indù. Si tratta ora di vedere come lo stesso primo ministro in fieri riuscirà a destreggiarsi nella aggrovigliata tendenza attuale della politica del subcontinente. Quello che Modi è riuscito a fare abilmente è stato proprio toccare le corde giuste di milioni di indiani, che, con tutta probabilità, non si sono nemmeno resi conto che il suo partito mostra ancora crepe pericolose e richiederà tempo e capacità gestionale non indifferenti per rimettersi in salute. D’altra parte, proprio la stessa retorica ha gettato in uno stato di trepidazione altri milioni di indiani, con il rischio di polarizzazione all’interno dell’immenso Paese.

Da primo ministro le priorità da affrontare non saranno solo attirare investimenti stranieri in India, che attraversano una fase di stagnazione rispetto ad alcuni anni fa, ma anche saper gestire partiti locali in altri Stati dove ci sono leader conosciuti e amati dalla gente, come Jayalalita in Tamil Nadu. Dovrà gestire tutti i gruppi del fondamentalismo indù (Rss, Bhajarang Dal, Vishva Hindu Parishad) che da sempre appoggiano la politica del Bjp, che considerano il proprio braccio politico e che hanno, senza dubbio, contribuito al successo. Modi dovrà riuscire ad evitare che siano questi gruppi a dettare la sua agenda politica.  

A livello di opinione pubblica, poi, come accennato sopra, la sua retorica rischia di spaccare chi lo ascolta, creando tensioni nel Paese, piuttosto che processi di integrazione e coinvolgimento di tutti i gruppi religiosi, sociali e politici. L’autorevole The Hindu sottolineava in questi giorni, in un articolo di fondo, l’assoluta priorità che il primo ministro dovrà dare ad assicurare l’idea e l’immagine di un’India pluralistica in un quadro inclusivo, all’interno del quale tutti i cittadini godono di una uguaglianza civile, legale e sociale. Un suo tweet, appena avuta la conferma del trionfo, è stato: «L’India ha vinto!». Ora il suo compito è quello di assicurare che ogni indiano, ricco o povero, indù o sikh, cristiano o musulmano, cittadino della metropoli o contadino delle vaste pianure del subcontinente, possa ripetere lo stesso.

In questi giorni Gopalkrishna Gandhi, nipote del Mahatma e figura di rilievo della politica indiana – è stato governatore dello Stato del Bengala occidentale dal 2004 al 2009, oltre che ambasciatore in Sud Africa e Sri Lanka – ha inviato una lettera aperta al vincitore delle elezioni, congratulandosi per la vittoria, ma ammettendo allo stesso tempo di non essere fra coloro che lo avrebbero voluto come primo ministro del Paese. Gopalkrishna ha sottolineato che altri milioni di persone, accanto a coloro che sono entusiasti per il responso delle urne, vivono ora con un senso di trepidazione per quanto accadrà. In particolare, il nipote di Gandhi ha messo in evidenza come lo spirito dell’India ha permesso proprio a Modi, da giovane venditore di te (chaiwala),- di arrivare alla carica di capo del governo. L’invito di Gandhi è di focalizzare la politica del governo dei prossimi anni sull’idea di desh, nazione, un punto chiave dell’ethos e del sentire indiano. Se molti considerano l’esponente del Bjp la persona giusta per difendere proprio l’identità indiana, altrettanti, se non di più, pensano in altri termini. Questo deve spingere Modi ad approfondire e chiarire le sue priorità per garantire uguaglianza a tutti i livelli, non solo ad alcuni gruppi e comunità.

Un secondo punto che viene in evidenza nella lettera aperta è la necessità di riflettere sulle motivazioni per cui, accanto all’entusiasmo di molti, si accompagna la paura di altri. È necessario trovare risposte a questa dicotomia ed arrivare a proposte concrete per poterla risolvere positivamente, sull’esempio di alcuni padri della patria, Sardar Patel in particolare, un altro statista proveniente proprio dal Gujarat, lo Stato di Modi.

L’invito conclusivo di Gopalkrishna Gandhi è di governare l’India pensando al 69 per cento di indiani che non hanno votato per avere Modi come primo ministro. Il vantaggio riportato nelle elezioni è, senza dubbio, immenso per l’India di oggi, ma non deve portare ad una frattura del Paese. Un primo ministro veramente tale deve avere a cuore sia coloro che gli hanno permesso di vincere sia coloro che guardano con trepidazione al futuro.

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